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[Segreta], i protagonisti dell’intelligence si raccontano in un podcast

Di Jacopo Bernardini

Scritto dalla giornalista Federica Manzitti e prodotto da 36Brains, società leader nella corporate intelligence, [Segreta] narra fatti realmente accaduti raccontati da chi li ha vissuti da protagonista, procuratori federali americani, agenti della Cia e dell’Fbi

Intelligence, spie, indagini ad alto rischio: concetti che ci sono familiari e al contempo rimangono misteriosi. Mondi su cui sono stati scritti romanzi, film e serie Tv. E che però – anzi, forse proprio per questo – troppo spesso vivono di falsi miti e leggende metropolitane.

Temi che, nelle rare occasioni in cui vengono raccontati da chi li ha vissuti da protagonista – procuratori federali americani, agenti della Cia e dell’Fbi – destano particolare attenzione. Proprio quello che accade con il podcast [Segreta] – sì, con le parentesi quadre, esigenze di marketing per rendere il format ancor più tenebroso –, scritto dalla giornalista Federica Manzitti e prodotto da 36Brains, società leader nella corporate intelligence.

“Abbiamo selezionato personalità di primo piano che hanno lavorato nelle più note agenzie e società di sicurezza a livello globale e condiviso con loro la nostra idea di podcast”, racconta Marianna Vintiadis, Ad di 36Brains, “Sono stati poi loro stessi, nel rispetto degli inevitabili vincoli di riservatezza, a decidere quale storia ritenessero più interessante raccontare”.

Nella prima delle cinque puntate, per esempio, si racconta un caso esemplare di social engineering, ovvero l’utilizzo di tecniche che hanno lo scopo di ottenere dati sensibili tramite lo sfruttamento di informazioni personali. Una delle truffe più frequenti che si trovano a dover fronteggiare le aziende e, di conseguenza, gli investigatori.

Frodi che sfruttano vulnerabilità umane, particolarmente efficaci proprio nel Sud Europa. “Noi popoli del Mediterraneo siamo particolarmente sensibili a questo tipo di crimini per un semplice motivo: tendiamo a essere egocentrici” spiega Vintiadis. “Di conseguenza l’idea che io, ultima ruota del carro, venga chiamato dall’Ad o dal presidente di un colosso multinazionale non fa scattare un allarme ma, al contrario, viene visto come un gradito e atteso segno di attenzione. In poche parole: ci caschiamo un attimo”.

Ma l’ego tradisce anche i truffatori. Spesso sofisticati criminali, che utilizzano sistemi di difesa – digitali e non – molto avanzati, commettono passi falsi nel modo più ingenuo. Proprio quello che succede a uno dei protagonisti di un’altra delle storie al centro di [Segreta], che dopo anni di caccia viene sorpreso per un banale, ma fatale, errore. “È proprio così, anche loro si tradiscono a causa di fragilità tutte umane, come la voglia di volersi vantare, di raccontare in giro ciò che hanno fatto. Spesso monitorando le chat del deep web si risolvono in questo modo casi molto complicati”, conferma Vintiadis.

Ma qual è la qualità che non può mancare in un bravo investigatore? Vintiadis è d’accordo con Robert Grenier, responsabile dell’antiterrorismo della Cia dal 2004 al 2006 e ospite speciale dell’ultima puntata del podcast: la fantasia. “Si parte dai dati ma poi l’abilità fondamentale è quella di saper entrare nella testa di un altro, riuscire immaginare quali potrebbero essere le prossime mosse di chi si sta indagando”.

Il podcast ha una particolarità: viene raccontato da persone che hanno avuto ruoli di primario livello e ne parlano apertamente, anche per questo è registrato in inglese. In Italia, infatti, una cosa simile non potrebbe succedere.

“Alla fine della Guerra Fredda l’Occidente, preso dall’euforia del momento, aveva deciso di non avere più bisogno di così tanta sicurezza” spiega Vintiadis. Per questo motivo il mondo “si è riempito di spie”: gli apparati di sicurezza, costretti a un downsize, hanno dovuto tornare a una vita normale, magari trovare un altro lavoro, con la necessità di raccontare cos’avevano fatto fino a quel punto della loro vita professionale.

Questo ha creato la necessità, per le agenzie di intelligence, di educare le proprie (ex) risorse a una corretta comunicazione all’esterno. In pratica, hanno dato loro il permesso di raccontare ciò che avevano vissuto, chiarendo cosa potesse essere reso pubblico e cosa dovesse rimanere riservato.

Una pratica che in Italia non è mai stata sdoganata, con diverse conseguenze negative. “Anche in questo mondo segreto­ la trasparenza ha un assoluto valore”, conclude Vintiadis, “si deve saper tracciare una linea tra ciò che si può dire e ciò che non può essere rivelato, altrimenti la nostra cronaca e i corridoi di certi uffici continueranno a essere popolati da improvvisati che raccontano storie non autorizzate per i loro interessi, senza la possibilità di comprovare o smentire la veridicità di ciò che dicono”.

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