Gli eredi del berlusconismo non potendo restituire al mondo l’originale, dovranno reinventare contenuti e tracciare nuovi orizzonti: fare un vero partito. La rubrica di Pino Pisicchio
La kermesse di Paestum a poco più di tre mesi dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, a partire dal 29 settembre che sarebbe il suo primo compleanno postumo, s’impone come un interessante catalogo di simbologia della comunicazione, in pieno ossequio allo stile del “fondatore”.
Siccome, però, a governare l’ambaradan c’è un gruppo di oligarchi in linea (quasi) con la generazione di Silvio, ma non altrettanto con la sua rapinosa attitudine a sintonizzarsi col popolo dei “telespettatori”, succede che il prodotto finale non solo non riesca a seguire le intenzioni, ma addirittura rischi di rivoltarsi contro. Prendiamo per esempio la scelta del luogo: uno spazio meraviglioso come il parco archeologico di Paestum, fuori dalla sua vocazione istituzionale di museo a cielo aperto, evoca un’idea di rovina, di trapassato remoto, di ridotto a polvere. Ora: devi essere i Pink Floyd del 1971 per permetterti il lusso di fare il rock a Pompei, stravolgendo contesti e imponendo la musica su tutto, con l’effetto di trasformare le rovine nelle quinte di scena per una clip inarrivabile. Ma se sei Antonio Tajani, con tutto il rispetto, le rovine, nell’immaginario di chi accosta l’evento a Paestum, prendono il sopravvento.
Prendiamo il colpo d’occhio del gruppo dirigente, generosamente inquadrato in una lunga diretta Mediaset condotta nientedimeno che da Andrea Giambruno, compagno della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: i deputati e senatori e blasonati a vario titolo, sono adagiati sopra l’asticella dei sessant’anni. Credo che “il fondatore”, che pure fu colui il quale importò il format della kermesse americana per servirlo poi in salsa italiana, avrebbe accuratamente evitato un errore scenografico così marchiano.
Ma il problema di Forza Italia senza più Berlusconi non è solo di tipo mediatico, anche se una difficoltà di questo tipo in un soggetto politico che ha fondato tutto sulla comunicazione non è trascurabile. C’è un punto interrogativo grande come una casa che riguarda la base di consenso e la stessa strategia. Concediamo al reggente Tajani lo sforzo di reggere botta tenacemente aggrappato al Partito popolare europea, cercando di sterzare verso approdi più rassicuranti di fronte alle scalmane di Matteo Salvini o ai prolassi verbali di qualche fratello d’Italia travolto da inaspettata opulenza elettorale.
Ma crediamo non sia sufficiente a mantenere quella base di consenso che anche nei momenti di magra Berlusconi ha saputo garantire. Perché ogni persona diversa da Silvio che mette mano alla macchina complessa di Forza Italia, fatta di populismo e securitarismo, di atlantismo ma anche di putinismo (e fino a un certo tempo anche di gheddhafismo), di liberismo protestante e di cattolicesimo tradizionale, di pragmatismo e di capacità persuasiva, tutto mescolato, non agitato, e tenuto insieme dal carisma personale, è destinata a capitolare. E questo vale anche per la conquista del suo popolo, se ne faccia una ragione anche chi da altre postazioni – vedi Matteo Renzi – costruisce progetti di anschluss: quella gente piuttosto non va più a votare.
Insomma, gli eredi del berlusconismo non potendo restituire al mondo l’originale, dovranno reinventare contenuti e tracciare nuovi orizzonti: fare un vero partito. Un impresa piccola piccola, non c’è che dire.