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Nadef, riforme e produttività. Il commento di Emilio Rossi

Di Emilio Rossi

Sarebbe stato opportuno orientare il documento a maggior prudenza, presentando a partire dal 2024 una traiettoria di consistente avanzo primario con un significativo contenimento del deficit e del debito. I numeri presentati non vanno però in questa direzione. L’intervento di Emilio Rossi, senior consultant di Oxford Economics e direttore Osservatorio del Terziario presso Manageritalia

Dopo le due crisi dovute alla pandemia e all’invasione dell’Ucraina e nonostante il forte rimbalzo del 2021 e 2022, il Paese torna oggi a confrontarsi con i limiti strutturali che lo caratterizzavano prima del Covid, acuiti dalla presenza dell’inflazione generata dalla crisi energetica e dei mercati dei prodotti agricoli. Per gli anni a venire ci si può quindi aspettare un ritorno a una crescita del Pil tra zero e 0,5%, migliorabile solo da una (peraltro ridotta) spinta una-tantum nei prossimi due o tre anni derivante dagli investimenti del Pnrr.

La buona notizia per il prossimo anno è che l’inflazione sta scendendo rapidamente sia nell’Eurozona che in Italia ed è possibile che nei prossimi trimestri scenda anche più rapidamente delle attese della Banca centrale europea. Tuttavia, l’inflazione strutturale di medio-lungo termine potrebbe rivelarsi più alta di quella pre Covid sia per le nuove dinamiche del commercio internazionale più attento alla distribuzione geografica delle forniture sia per i costi degli investimenti per la transizione energetica. Di conseguenza, nel prossimo decennio ci si può attendere un profilo dei tassi di interesse più elevato che nel periodo pre Covid – una notizia non positiva per un Paese fortemente indebitato come l’Italia.

Il quadro di medio-lungo termine è quindi segnato a) da bassa crescita accompagnata da inflazione tendenzialmente superiore all’obiettivo Bce e b) dal ritorno in vigore del Patto di Stabilità e Crescita. Sarebbe quindi stato opportuno orientare la Nadef a maggior prudenza, presentando a partire dal 2024 una traiettoria di consistente avanzo primario con un significativo contenimento del deficit e del debito. I numeri presentati nella Nadef 2023 non vanno in questa direzione, con un ridimensionamento degli obiettivi già timidi presentati ad aprile 2023 e affidandosi a una crescita ottimistica del Pil e a proventi molto ambiziosi di privatizzazioni.

La chiave dello sviluppo duraturo di un Paese è la crescita della produttività complessiva del sistema economico. A questo proposito, due punti vanno sottolineati, uno riguardo al PNRR e connesso Piano Complementare e uno – tanto prioritario quanto trascurato nel dibattito politico e mediatico – relativo al Terziario.

Gli investimenti PNRR potranno generare frutti più duraturi solo se indirizzati al miglioramento della produttività e questo era lo spirito del NGEU della Commissione Europea. La capacità degli investimenti del PNRR di agire su produttività e output potenziale dipenderà dalla strategia con cui gli investimenti saranno scelti prima e implementati poi. Ad oggi l’attuazione del PNRR risulta essere molto frammentata (tratto poco compatibile con effetti strutturali) ed in ritardo (peraltro come atteso sin dall’inizio). La sua capacità di incidere nel medio-lungo termine appare inoltre limitata ove non fosse accompagnata dall’implementazione delle riforme di Pubblica Amministrazione, giustizia, fisco e concorrenza, così come concordato con la Commissione Europea all’avvio del PNRR stesso.

La riforma della concorrenza è probabilmente quella che più realisticamente potrebbe produrre effetti rapidi, laddove il governo abbracciasse concretamente politiche basate sull’abbattimento di privilegi consolidati – non solo dei tassisti e delle concessioni balneari ma di tutti quelli annidati in molti settori protetti, come ad esempio nel trasporto pubblico locale, nella gestione dei rifiuti e delle acque, in vari comparti delle professioni e del commercio.

Il nodo della lenta crescita della produttività italiana deriva in larga parte dal Terziario di mercato. Tale nodo può essere individuato in una contraddizione ormai storica dello sviluppo economico del Paese, contraddizione alla base della quale risiede una mancanza di visione del futuro in chiave moderna.

Il Terziario di mercato rappresenta quasi il 60% dell’economia del Paese ed è il vero motore dell’economia italiana, con una crescita del valore aggiunto negli ultimi trenta anni del 38% (a fronte di una crescita del 4% della manifattura). Allo stesso tempo, la crescita sia del valore aggiunto che della produttività nella maggior parte dei comparti del Terziario è molto più lenta che negli altri Paesi europei (fa eccezione il settore finanziario e più recentemente il commercio). Le cause della lentezza del motore “Terziario” italiano sono comuni a molti comparti e sono rintracciabili nella presenza di rendite di posizione, nel basso livello di concorrenza, nella insufficienza delle infrastrutture IT (per esempio il 5G) che consentirebbero l’avvio di una miriade di imprese tecnologicamente all’avanguardia in aree come IA, Data Analytics, Cybersecurity, Fintech, Mobilità Digitale, ecc. Last but certainly not least, una causa chiave è da ricercarsi nello scarso livello di competenze a tutti i livelli soprattutto nelle materie STEM. Da questa lista, peraltro molto incompleta, è facile inferire una pressoché inesistente attenzione dei policy maker alle opportunità offerte dal Terziario.

Una maggiore attenzione non deve però significare misure di supporto finanziario ma la creazione di un ambiente dove l’iniziativa dei privati possa esprimersi senza troppa burocrazia, senza barriere all’entrata ed eliminando privilegi corporativi – da cui un ulteriore elemento a favore della riforma della concorrenza.

Se da un lato non è compito della Legge di Bilancio presentare piani di sviluppo a lungo termine, dall’altro sarebbe opportuno che un documento come la Nadef che riporta un piano triennale esplicitasse e traducesse in numeri una visione del futuro che abbia al centro la creazione di competenze (Istituti di ricerca, campus universitari, ecc.) e l’innovazione nel campo delle tecnologie digitali verso cui i Paesi avanzati si stanno muovendo velocemente.

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