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Alleanza per le competenze. Idee per colmare il gap

Di Michele Samoggia Zerbetto

La riforma voluta dal ministro Valditara sugli istituti tecnici e professionali rappresenta una svolta per rilanciare la filiera formativa tecnologico-professionale. È importante lavorare per colmare il gap delle competenze anche nelle grandi aziende partecipate dallo Stato. In Philip Morris siamo impegnati in prima linea con il nostro Institute for manufacturing competences (Imc). Scrive il responsabile comunicazione e sostenibilità di Philip Morris Italia, Michele Samoggia Zerbetto

La recente approvazione in Consiglio dei ministri del disegno di legge sulla riforma gli istituti tecnici e professionali proposta dal ministro Valditara segna un passo importante per rilanciare una “filiera formativa tecnologico-professionale” fondamentale per rilanciare la competitività del nostro Paese e dare un futuro a tante ragazze e ragazzi che oggi faticano a trovare uno sbocco professionale.

L’Italia è il Paese Ocse dove il mismatch tra le competenze richieste dalle aziende e quelle offerte dal mondo della formazione è più marcato. Questo mismatch rappresenta non solo un limite strutturale alla crescita del Paese, ma soprattutto un’incredibile perdita di talento, opportunità, futuro per i più giovani. L’Italia detiene il secondo posto per numero di Neet (not in education, employment or training), un fattore foriero di profonde disuguaglianze sociali; è il penultimo paese dell’Unione europea per quota di laureati; e si contraddistingue per una percentuale di giovani laureati in materie scientifiche ben al di sotto dalla media europea.

A quest’ultimo gap si aggiunge un profondo divario di genere. E purtroppo sarebbero molti altri i dati da citare: dai numeri sulle competenze digitali a quelli sugli iscritti agli Istituti tecnici e tecnologici rispetto ai nostri principali competitor europei, come Francia e Germania. Numeri che, per motivi sociali, prima ancora che economici, come comunità, non possiamo accettare.

In questo contesto, la riforma è un tassello di una serie di interventi che devono guardare, solo per citarne alcuni, all’accrescere, fin dai primi anni di scuola, l’interesse degli studenti per le competenze Stem; a promuovere la cultura, l’interesse e il riconoscimento sociale per percorsi formativi diversi da quelli classici; a intervenire per favorire un maggiore dialogo e collaborazione tra mondo della formazione e quello del lavoro.

In Philip Morris siamo impegnati in prima linea su questi temi, in particolare con il nostro Institute for Manufacturing Competences (Imc), il centro del gruppo per l’alta formazione e lo sviluppo delle competenze legate a Industria 4.0. Le attività del Philip Morris Imc sono rivolte non solo alle persone che lavorano in azienda o nell’ambito della sua filiera, 41.000 persone in Italia, ma anche a tutto il mondo economico, imprenditoriale, dell’istruzione e della formazione, locale e nazionale.

L’Imc è rappresentativo dello sforzo di tante aziende, grandi, medio o piccole che siano, di colmare il gap di competenze. Un problema che chiaramente riguarda tutte le imprese, ma che in Italia è particolarmente sentito dalle grandi partecipate statali. Aziende che, numeri alla mano, rappresentano la base dell’economia italiana per numero di occupati, fatturato, valore in borsa e investimenti in R&S.

Nel caso delle partecipate sarebbe auspicabile un ruolo dello Stato, in qualità di principale azionista, per mettere a sistema innanzitutto una raccolta dei fabbisogni in termini di competenze da formare nel breve e nel lungo periodo. Queste aziende già collaborano insieme su questi temi come dimostra il bellissimo progetto “Distretto Italia” coordinato dall’Elis. Ma una regia dello Stato-azionista consentirebbe di fare ancora più sistema per massimizzare gli sforzi e mettere in comune le capacità organizzative.

L’intenzione non è certo quella di mettere in discussione l’attuale modello di governance, tenuto conto delle eccellenti performance delle aziende di Stato, le quali, ognuna nel proprio settore (energia, difesa, trasporti, logistica), rappresentano casi di successo nazionali e internazionali per competenze, capacità di innovare e costruire campioni globali. Al contrario, il punto di interesse qui è piuttosto spingere a una riflessione su come alimentare l’interazione virtuosa tra Stato-investitore e società partecipate, proponendo un modello di soft power che favorisca la produttività delle aziende controllate e del Sistema Paese, o renderle dei punti di riferimento internazionale in materia di welfare.

Certo le difficoltà sono tante, come sempre quando bisogna mettere al tavolo tanti enti pubblici e privati per trovare soluzioni comuni, ma l’Italia ha già dimostrato di saperlo fare.



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