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Liste d’attesa nella sanità, una questione di policy. Parola di Aceti (Salutequità)

Di Tonino Aceti

Il ritardo accumulato con il Covid non è stato ancora colmato e il numero di prestazioni erogate è inferiore al 2019, con in media quasi quattro milioni e mezzo di visite in meno. Ma incrementare le risorse non basta: bisognerebbe scrivere meglio le norme, governare l’intero processo, semplificare e innovare l’organizzazione dei servizi e investire sul capitale umano. L’intervento di Tonino Aceti, presidente Salutequità

Le liste di attesa rappresentano da sempre il principale banco di prova del Servizio sanitario nazionale agli occhi dei cittadini. Il fattore tempo, infatti, è l’elemento fondamentale per qualificare nel bene o nel male l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) e quindi la soddisfazione degli utenti. Sul tempo di accesso si gioca davvero il rapporto di fiducia tra cittadini e Ssn, un rapporto messo ancor più a dura prova dal Covid-19.

Le risorse non bastano e i numeri lo dimostrano

Le ripetute sospensioni dell’attività sanitaria programmabile, a seguito dei periodici picchi dei contagi, hanno fatto sì che si accumulasse un arretrato di prestazioni mai visto prima che, sommato alle attese relative all’assistenza corrente, ha contribuito a incrementare tempi e liste di attesa.

Per recuperare il terreno perso e rispondere a questa emergenza tra il 2020 e il 2022 sono state stanziate ingenti risorse e varati diversi provvedimenti ma nonostante ciò, il Ssn non è ripartito come avrebbe dovuto. Infatti, nel 2022 la capacità del Servizio sanitario di erogare prestazioni è stata ancora inferiore al 2019: secondo i dati Agenas, elaborati dall’Osservatorio Salutequità, è saltata circa una prestazione di specialistica ambulatoriale su dieci (escludendo esami di laboratorio).

In particolare, quasi 3,4 milioni di prime visite e oltre 5,5 milioni di visite di controllo in meno rispetto al 2019, con profonde differenze tra le regioni. Anche l’azione di recupero del pregresso, cioè delle prestazioni saltate durante il periodo più grave della pandemia (2020-2021) non ha raggiunto gli effetti sperati. In base ai dati della Corte dei conti è stato infatti recuperato, rispetto all’obiettivo dichiarato nei piani regionali di recupero presentati al ministero della Salute, solo il 57% delle prestazioni ambulatoriali, il 67% degli screening oncologici organizzati e il 66% dei ricoveri programmati.

La spesa a carico dei cittadini

Ad aggravare la situazione vi è il fatto che a fronte del parziale recupero dell’arretrato, le risorse stanziate non sono state neanche tutte spese. In particolare, nel 2022 l’avanzo di spesa è stato pari a 152 milioni di euro. Un avanzo che grazie al decreto Milleproroghe (2023) le Regioni hanno poi potuto utilizzare per l’equilibrio finanziario 2022, messo in crisi dall’emergenza sanitaria. Una doppia beffa per i cittadini, costretti a mettere mano al portafoglio per curarsi nei tempi giusti, a fronte di un Ssn che aveva le risorse e non le ha sapute impegnare.

Il decreto, inoltre, ha poi autorizzato “fino al 31 dicembre 2023, la possibilità per le Regioni di continuare a mettere in campo tutte le misure già previste per il recupero delle liste nelle precedenti norme e a tal fine a utilizzare una quota non superiore allo 0,3% del livello di finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato per l’anno 2023”.

Riscrivere le norme, semplificare e innovare l’organizzazione dei servizi

I dati riportati ci restituiscono un’evidenza della quale dovremmo fare tesoro: il contrasto alle liste di attesa non si fa solo stanziando risorse, ma scrivendo meglio le norme, governando in modo molto più stringente l’intero processo, semplificando e innovando l’organizzazione dei servizi, nonché investendo sul capitale umano del Ssn, superando le attuali carenze e valorizzando le nuove competenze delle professioni sanitarie.

In questo senso, ad esempio, le norme sin qui approvate non hanno mai previsto che le risorse venissero erogate solo dietro certificazione che le Regioni avessero raggiunto l’obiettivo di recupero delle liste di attesa. Il nuovo sistema di garanzia dei Lea, che è il meccanismo istituzionale di misurazione delle performance delle Regioni, ha un solo indicatore sulle liste di attesa relativo al rispetto dei tempi per le prestazioni con codice di priorità B (entro dieci giorni) e nulla sul recupero delle cure mancate.

Semplificare i percorsi diagnostico-terapeutici

Particolarmente carente è l’attuazione e la verifica del Piano nazionale di governo delle liste di attesa 2019-2021, soprattutto per quel che riguarda il controllo sull’intramoenia, sulla garanzia dell’effettività dei percorsi di tutela per i cittadini in caso di mancato rispetto dei tempi massimi da parte dell’Asl, sulle prenotazioni contestuali alle prescrizioni per le visite di controllo, sul rispetto del divieto del blocco delle prenotazioni, sulla garanzia della massima trasparenza delle agende, sulla presenza e pieno funzionamento del Cup unico in tutte le regioni e completo dell’offerta del privato accreditato.

Inoltre, bisognerebbe lavorare di più e meglio per semplificare i percorsi diagnostico-terapeutici, evitando passaggi inutili come nel caso dei rinnovi dei piani terapeutici. Come pure sarebbe necessario innovare ed efficientare i modelli organizzativi valorizzando le nuove competenze dei professionisti sanitari come infermieri, fisioterapisti, tecnici di radiologia, rafforzando così la possibilità di accesso alle cure.

Le opportunità della tecnologia e della telemedicina per una sanità digitale

Anche la tecnologia rappresenta una leva per ridurre le liste di attesa e aumentare l’accesso al Ssn. È il caso delle soluzioni informatiche per ammodernare, centralizzare ed efficientare i sistemi di prenotazione di Asl e Regioni, i meccanismi di recall verso i cittadini, nonché per rafforzare i sistemi di archiviazione dei dati sanitari e la loro interoperabilità, come nel caso del fascicolo sanitario elettronico.

Per quanto riguarda ad esempio la telemedicina invece, il suo contributo è particolarmente funzionale per migliorare la qualità di vita del paziente e caregiver evitando ad esempio, nel caso delle visite di controllo, spostamenti inutili. Altrettanto importante è il suo valore per l’equità di accesso alle cure, soprattutto per le aree interne e più disagiate del Paese. Effetti positivi potrebbero svilupparsi sull’aderenza terapeutica, la prevenzione e il controllo delle complicanze con relative ripercussioni sulle liste di attesa.

Le prossime esigenze

La sanità digitale può quindi rappresentare una grande opportunità per innovare il Ssn e migliorare l’assistenza, ma ci sono questioni aperte che devono essere ancora affrontate. È necessario definire i Livelli essenziali di assistenza digitale da garantire in tutte le regioni, prevedendone il relativo finanziamento. Ad oggi, per esempio, la telemedicina non è inclusa nei Lea e quando saranno esaurite le risorse del Pnrr bisognerà capire come continuare a garantire la sostenibilità. Allo stesso modo sarà necessario ridurre il divario infrastrutturale tra regioni e aree del Paese, tra la popolazione più ricca e quella più povera, tra quella più anziana e quella più giovane. Infine, sarà importante investire sull’alfabetizzazione sanitaria di cittadini e professionisti per permettere che questa opportunità sia colta pienamente.

Questo articolo è tratto dall’ultimo numero di Healthcare policy

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