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Tutte le differenze tra popolari e conservatorismo della destra. Il commento di Chiapello

Di Giancarlo Chiapello

Il popolarismo, che è diverso, come per il progressismo a sinistra, dal conservatorismo a cui tende la destra sulla questione delle riforme costituzionali, non può non ritrovarsi, nel suo cammino, con la bussola data da papa Francesco col messaggio al gruppo parlamentare del Ppe. Il commento di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare

“Sono passati esattamente quarant’anni da quando Giorgio Almirante motivava a Enzo Biagi le ragioni del proprio sostegno a una revisione della forma di governo in senso presidenzialista. Oggi il presidenzialismo si ripropone nelle sembianze del ‘premierato all’italiana’”.

In questo passaggio dell’articolo di Angelo Ciardullo, “Premierato, dal sogno di Almirante a quello di Meloni” c’è tutta la distanza storica ed ideale tra i popolari e democratici cristiani e coloro che arrivano dall’esperienza missina o lì si sono accasati per dignitose ma individuali salvezze (senza considerare le posizioni del cosiddetto “partito francese” probabilmente alle prese con la proposta di Macron di inserire l’aborto come diritto nella Costituzione d’oltralpe rendendolo politicamente incompatibile con un cattolico in politica: su certe riforme ed i suoi danni si potrebbero ricordare le splendide e profonde parole di Ciriaco De Mita).

Al di là dell’utilizzo ricorrente da parte degli alterni e sempre passeggeri protagonisti della sedicente “seconda repubblica” delle riforme costituzionali come manifesti ideologici, atti di personalizzazione, strumenti di distrazione, va ricordato che l’aspirazione “organizzativista” dell’uomo o donna forte, che è visto come panacea del male della ingovernabilità si scontra con la realtà: la stabilità sostanziale della politica italiana fino al 1994 e l’instabilità costante successiva, con ricorso a governi di ogni tipo in emergenza costante e tentativi svariati di comprimerla per legge, si è caratterizzata per tentativi di imposizione di polarizzazioni e castrazioni dell’attività parlamentare (che ha raggiunto il suo apice con la disastrosa riduzione del numero dei parlamentari) che è andata di pari passo con lo svilimento dei consigli comunali, figure di sindaci sempre più simili a podestà, la sparizione dei consigli provinciali elettivi, neocentrismi cometitivi regionali.

Dunque, senza cedere ad un dogmatismo costituzionale (i popolari possono ragionare sulla base di una precisa cinquina, cancellierato – che è ben lontano dal “premierato all’israeliana” blindato ed è la proposta tradizionale dei popolari se si vuole ricordare il prof. Leopoldo Elia –, principio proporzionale, legge elettorale proporzionale, sfiducia costruttiva, elettività delle assemblee con possibilità di sfiducia costruttiva ad ogni livello), ma chiaramente contrari a superare surrettizziamente la più importante delle norme nate dopo la dittatura, ossia l’assenza di vincolo di mandato, la differenza ideale profonda è chiara riprendendo, come popolari e democratici cristiani le parole di Aldo Moro alla Costituente: “Costruendo il nuovo Stato, noi determiniamo una formula di convivenza, non facciamo soltanto dell’organizzazione dello Stato, non definiamo soltanto alcuni diritti che intendiamo sanzionare per la nostra sicurezza nell’avvenire; determiniamo appunto una formula di convivenza, la quale sia la premessa necessaria e sufficiente per la costruzione del nuovo Stato”.

È evidente che, con il crollo della partecipazione, la destrutturazione dei partiti sempre più verticistici e sempre meno capaci di interpretare complessità e rappresentanza, il cuore del problema sta proprio nella salvaguardia della convivenza che, sistemi polarizzanti che livellano le identità, inaspriscono gli scontri e le colonizzazioni ideologiche, incentivano le promesse roboanti elettorali, personalizzano in maniera esasperata, possono solo danneggiare ulteriormente. Non si tratta di un’interpretazione macchiettistica dell’identità democratico cristiana, ma del cuore di essa, del suo senso profondo per la democrazia e le identità politiche, che non si fa abbacinare dalle percentuali, come personalmente mi hanno insegnato Alberto Monticone e Gerardo Bianco (con cui fu fondata Italia Popolare proprio per non dare l’idea di limitarsi ad andare sempre col più forte, riducendo una identità a buon mestiere, ma per difendere il popolarismo stesso) o Giovanni Porcellana e Mino Martinazzoli (che contrastò l’idea dei partiti unici polarizzati e “sincretici” e che in un memorabile convegno a cui lo invitai presso l’ultima sezione sturziana operativa, Moncalieri, fece una bella relazione sulla figura evangelica del “servo inutile” per ragionare di politica e dei suoi limiti, quello che oggi si dimentica).

Il popolarismo, che è diverso, come per il progressismo a sinistra, dal conservatorismo a cui tende la destra come dimostrato praticamente, dunque, dalla questione delle riforme costituzionali, non può non ritrovarsi, nel suo cammino, con la bussola data da papa Francesco col messaggio al gruppo parlamentare del Ppe, che dovrebbe ascoltarlo di più, in cui si parla di unità dei cattolici, e lo stile emerso dal Sinodo e ben riassunto da mons. Brambilla, presidente della Commissione Cei per la catechesi, in una intervista su Avvenire, dove, tra l’altro, c’è un chiaro giudizio negativo della diaspora: “Anche la presenza dei cristiani nella vita civile e nell’arena politica deve organizzarsi dal basso, superare le polarizzazioni, i luoghi comuni di un dibattito incolore e stanco. La diaspora dei cattolici italiani è prima di tutto un fatto culturale che organizzativo: non c’è più visione, passione civile, fantasia politica, confronto nei luoghi dove si elaborano idee e consenso. Basta aprire un giornale: il tema del giorno viene cancellato dall’urgenza delle notizie del giorno dopo. Nessun contributo pensato genera una discussione appassionata e costruttiva”.

Insomma nei circoletti ristretti lasciamo chi li ha costruiti in questi trent’anni per sopravviere all’ombra altrui e proviamo a liberare il popolarismo rimettendolo dentro i luoghi di elaborazione per il futuro e il Ppe da salvare in Italia.



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