Skip to main content

La ricostruzione dell’Italia centrale “case history” alla Cop28 di Dubai. L’intervento del commissario Castelli

Di Guido Castelli

L’esempio di ricostruzione e riparazione antisismica e contro gli effetti dei cambiamenti climatici dell’Appennino centrale rappresenta un utile e concreto riferimento, anche come modello di governance di processi complessi che proprio nella ripartizione delle responsabilità trovano uno degli ostacoli maggiori. L’intervento di Guido Castelli, commissario per la ricostruzione e rigenerazione Sisma 2016

L’esperienza della Struttura Commissariale Sisma 2016 è stata selezionata tra quelle che verranno illustrate nel corso della prossima Cop28 di Dubai, alla quale papa Francesco ha espresso l’intenzione di presenziare. Una duplice coincidenza – la partecipazione del papa alla Cop28 e la selezione della “case history” della Ricostruzione dell’Italia Centrale – che ho avuto modo di condividere qualche giorno fa proprio in occasione dell’udienza privata che mi ha concesso il Santo Padre.

I temi della transizione ambientale, tanto cari a papa Francesco – dalla sua prima Enciclica del maggio 2015, “Laudato Si”, fino alla recente Esortazione apostolica “Laudate Deum” – sono tra le maggiori preoccupazioni di chi agisce nel più grande cantiere europeo: 27 miliardi di opere da ricostruire, 8000 chilometri quadrati di superficie coinvolta, dove erano residenti 600mila persone. Sostenibilità ambientale, sicurezza dei territori, impegno di rigenerazione socio-economica, sono le grandi questioni che, su scala planetaria, riguardano l’agenda della prossima Cop28. Questioni che, tuttavia, si incrociano con l’altra grande crisi che avvolge gli Appennini: la crisi demografica.

UN LABORATORIO PER L’EUROPA

In quel laboratorio involontario che si è creato nel cuore dell’Appennino centrale, in Italia, all’esito dei quattro terremoti devastanti che si sono susseguiti nel breve volgere di 5 mesi (tra agosto 2016 e gennaio 2017), è emersa con nitidezza l’urgenza di sviluppare azioni di contrasto allo spopolamento anche in riferimento alla crisi ambientale. Una crisi che finora a livello nazionale ed europeo è stata affrontata soprattutto attraverso misure per la mitigazione (efficientamento energetico, decarbonizzazione, rinnovabili, ecc.), ma gli effetti dei cambiamenti climatici stanno già ora provocando danni e lutti sempre più frequenti. La messa in sicurezza dai terremoti del cratere sisma 2016/17, per la prima volta nella storia delle ricostruzioni post sisma, prevede anche una serie di interventi mirati alla messa in sicurezza dagli effetti dei cambiamenti climatici. La ricostruzione e la riparazione del tessuto fisico, economico e sociale dell’Appenino centrale, oltre agli interventi e alle opere, sta sperimentando la messa in campo di una serie di misure mirate a favorire la presenza costante e diffusa dell’uomo a garanzia di un territorio a forte rischio abbandono che, da potenziale minaccia per le aree urbane e vallive, si propone di diventare presidio di sicurezza, non solo antisismica, ma anche contro gli effetti dei cambiamenti climatici. I terremoti del 2016/17 hanno anticipato nel quadrante territoriale dell’Appennino centrale una esigenza che, in realtà, ha un rilievo nazionale e riguarda tutta l’Italia: un Paese per due terzi montano circondato dal mare che si sta riscaldando più velocemente di tutti al mondo, il Mediterraneo. Una combinazione che espone tutto il Paese a rischi disastrosi per i cittadini, le infrastrutture e le imprese. Una combinazione di fragilità che condividiamo con altre aree del Sud dell’Europa: dalla Spagna alla Grecia, fino ai Balcani, dove le aree interne, montuose, finiscono per essere più esposte agli effetti combinati di un mare che riscalda e di un clima che diventa tropicale.

È urgente tornare a occuparci del nostro territorio che poi è quel paesaggio che oggi possiamo ritrovare solo nei quadri del Rinascimento. Quelle aree appenniniche che hanno costituito la culla della civiltà europea (non solo italiana). Per queste ragioni l’azione di riparazione del territorio associata a quella di ricostruzione di un cratere sismico riveste una valenza strategica fondamentale come modello. Tutti i tentativi passati e presenti di occuparsi settorialmente di questi aspetti sono falliti. Anche l’attuale strategia per la coesione europea basata su scala regionale (e, nel caso italiano, tutta sviluppata sulla dinamica Nord/Sud) rischia di non essere adatta alle sfide che ci impongono cambiamenti climatici che producono effetti ancor più disastrosi dove è maggiore lo sviluppo economico. Anche per questo è necessario un riequilibrio tra le aree urbanizzate e quelle montane dal Nord al Sud. Va assicurato un presidio di quel 95% del territorio montano in forte abbandono attraverso il ripristino di condizioni per viverci e fare impresa, attualizzate attraverso le nuove tecnologie.

RICOSTRUZIONE E TRANSIZIONE AMBIENTALE

Nel recente incontro con il Santo Padre ho avuto modo anche di raccontare le difficoltà delle comunità che, dopo la tragedia di sette anni fa, hanno dovuto recuperare energie e speranza per vincere la tentazione dell’abbandono dei luoghi feriti e della vita stessa. Un cambio di passo è avvenuto, credo, e ho voluto comunicare le esperienze di questi mesi a Papa Francesco, che mi ha regalato attenzione e partecipazione da condividere con tutti coloro che abitano e lavorano nel cratere. In particolare, ho illustrato al Santo Padre – che l’intera comunità del sisma incontrerà in un’udienza il prossimo 24 novembre – la grande premura che abbiamo introdotto nelle attività di ricostruzione, in relazione ai problemi della transizione ambientale. Ricostruendo proteggiamo l’ambiente e, favorendo la possibilità che l’uomo resti o torni ad abitare nel cratere, onoriamo i principi di un’autentica ecologia umana. Ricostruiamo le scuole e gli edifici in accordo con il GSE per conseguire i migliori standard energetici, favoriamo l’adozione di protocolli ambientali nella ricostruzione privata, stimoliamo e finanziamo comunità energetiche rinnovabili.

Sono solo alcune delle azioni che ci hanno condotto a Dubai. Il riconoscimento internazionale dello sforzo che stiamo compiendo – documentato dalla “case history” che sarà esposta nel padiglione Italia nel corso della COP 28, e riconosciuto dagli ultimi report della Bei, necessari alla prosecuzione dei finanziamenti in atto – diventa uno stimolo in più per un intervento che può diventare “di scuola” non solo per l’Italia, ma per tutte quelle aree appenniniche afflitte da una crescente fragilità idrogeologica, dove l’innalzamento delle acque dei mari si combina con la devastazione delle acque che scendono dai pendii dei monti.

UN MODELLO PER L’HOT SPOT MEDITERRANEO

La ricostruzione in atto, insieme alla mission di riparazione, assistenza alla popolazione e alla ripresa economica dei territori colpiti, combinata con le risorse del Pnc/Pnrr (1.780 milioni complessivi) hanno creato le condizioni per lo sviluppo di un reale laboratorio territoriale che si configura come Modello dell’Appennino centrale che si sta misurando con gli obiettivi del Green Deal Europeo di fare dell’Europa il primo continente al mondo a impatto climatico zero. Nell’Appennino centrale d’Italia le comunità di cittadini, imprese e amministratori si stanno misurando concretamente con le azioni di mitigazione e adattamento attraverso un impegnativo e complesso processo che prevede uno straordinario sforzo della Struttura Commissariale di gestione della governance, di supporto tecnico e di crescita culturale. La valenza di questo lavoro è accresciuta dalle caratteristiche del territorio interessato, tra i più importanti dell’area la cui vocazione economica e sociale è strettamente intrecciata con le risorse naturali.

Raccontare questa esperienza e confrontarsi con le indicazioni che emergeranno dalla COP 28 sarà estremamente importante per la struttura Commissariale Sisma 2016, anche perché questo appuntamento arriva in un momento decisivo: è arrivato il momento di affermare a livello globale la peculiarità dell’eco-regione mediterranea che necessita di urgenti azioni di adattamento per le aree montane di tutto il bacino. Il Mediterraneo è un hot spot climatico e le montagne del Mediterraneo sono i luoghi dove bisogna investire risorse per riequilibrare gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. A Dubai si prenderanno impegni sulle risorse per gli obiettivi stabiliti nel 2015 con l’Accordo di Parigi, a partire dai 100 miliardi di dollari l’anno per la finanza climatica su cui gli Stati si erano impegnati nel lontano 2009. L’esempio di ricostruzione e riparazione antisismica e contro gli effetti dei cambiamenti climatici dell’Appennino centrale – testimoniato da progetti, opere, incentivi e programmi di investimento della Struttura Commissariale Sisma 2016 – rappresenta un utile e concreto riferimento, anche come modello di governance di processi complessi che proprio nella ripartizione delle responsabilità trovano uno degli ostacoli maggiori.

×

Iscriviti alla newsletter