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Perché e a chi fanno paura i whistleblowers? La ricostruzione di Biagino Costanzo

No, non sono “spie”, come generalmente si indica chi segnala. Il whistleblowing è la pratica per segnalare violazioni di leggi o regolamenti, reati e casi di corruzione o frode, oltre a situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza pubblica. L’approfondimento di Biagino Costanzo

Cosa sono i whistleblowers? Informatori, coloro che “fischiano“una irregolarità o segnalatori, nella traduzione italiana del testo, ovvero una persona che lavora in un’azienda sia essa pubblica o privata che decide di segnalare un illecito, una frode o un pericolo che ha rilevato durante la sua attività lavorativa (o, nel caso di un cliente, nel corso della sua esperienza di cliente di un’azienda).

No, non è una “spia” come generalmente e stupidamente si indica chi segnala. Il whistleblowing è la pratica per segnalare violazioni di leggi o regolamenti, reati e casi di corruzione o frode, oltre a situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza pubblica.

Esiste il whistleblowing interno ovvero utilizzando specifici canali interni comunicativi, i lavoratori o le terze parti di un’organizzazione possono segnalare condotte illecite o fraudolente di cui siano venuti a conoscenza e il whistleblowing esterno, quando la segnalazione di un illecito viene fatta all’autorità giudiziaria, ai media o alle associazioni ed enti competenti. Chi si avvale della pratica del whistleblowing esterno lo fa o per assenza di fiducia nei confronti della propria azienda, in quanto quest’ultima non garantisce un sistema di whistleblowing sicuro e tutelante, oppure perché non può proprio disporre di un sistema di whistleblowing all’interno della propria organizzazione.

Ma chiaramente tutto questo deve essere protetto da eventuali ritorsioni da parte dei “segnalati” verso i “segnalanti” e, al contempo, è lapalissiano verificare in modo approfondito le segnalazioni ed appurare che non siano “drogate” da motivi strettamente personali , da invidie o di vendetta professionale verso un proprio collega o Responsabile e quindi, in quel caso, inversamente, si rischia il reato di calunnia.

Il legislatore europeo ha emesso nel 2019 una Direttiva europea, la n.1937/2019, mentre in Italia il Decreto legislativo n. 24/2023 traspone nella legge nazionale italiana la Direttiva Europea in materia di whistleblowing, abrogando la legge n.179/2017.

Il whistleblowing è un altro, utile, essenziale strumento di Compliance aziendale a vantaggio delle aziende, già attivo in numerosi Paesi, anche se con differenti modalità d’applicazione, ecco perché l’esigenza da parte dell’l’Unione europea di redigere e pubblicare una nuova Direttiva sul whistleblowing, che è stata recepita da tutti gli Stati membri già entro il dicembre del 2021.

In ambito anti corruttivo emergono prepotentemente due novità introdotte, il ritorno del reato di falso in bilancio e la restituzione del maltolto sia per accedere al patteggiamento, sia come riparazione pecuniaria per chi è condannato per corruzione, ma ancora molto c’è da fare sul tema del whistleblowing. Vi è un approccio molto soft sul tema, l’assenza di decisive disposizioni in merito può alimentare dei dubbi sulla effettiva determinazione a combattere davvero e seriamente la corruzione e il malaffare.

La deterrenza in chiave preventiva del whistleblowing non risiede solo nella effettiva visione della condotta illecita, ma anche e soprattutto nella potenziale visibilità della stessa. Già nel diciottesimo secolo, il filosofo, giurista ed economista inglese, Jeremy Bentham, lo aveva compreso quando parlava di come si potessero tenere a freno i comportamenti antisociali delle persone, la sua famosa frase: “Più attentamente saremo osservati, meglio ci comporteremo”, dimostra come si possa spingere a desistere a commettere un illecito solo all’idea che un collega di lavoro possa scoprirlo e segnalare le azioni malevoli.

Certo non possiamo avere la massima certezza che il whistleblowing sia efficace come antidoto preventivo alla corruzione, ma vi sono degli studi in merito , come quello che alcuni ricercatori americani, hanno pubblicato nel 2014, dal titolo “L’impatto dei Whistleblower sulle azioni di contrasto alle false dichiarazioni finanziarie” (autori Sharp, Wild, Call e Martin), dove emerge, nella ricerca, basata su un set di dati che il governo americano ha messo a disposizione sui reati concernenti le false dichiarazioni finanziarie (a proposito di falso in bilancio…) come il coinvolgimento dei whistleblower pesa per una percentuale tra il 21% e il 27,5% dei 79,46 milioni dollari in sanzioni totali comminate e determina un raddoppiamento delle pene detentive comminate a specifici individui.

Inoltre, anche altri studi, ad esempio quello svolto PWC, rilevano che i whistleblower sono stati responsabili per il 43% del rilevamento delle frodi, mentre le forze dell’ordine solo per il 3% ed i controlli societari per il 34%. Questo perché ancora una volta il fattore umano fa la differenza; infatti, non esiste nulla di piu adeguato della capacità percettiva degli esseri umani, dell’orecchio e dell’occhio umani, della sensibilità ed acutezza delle persone, quando parliamo di valutare comportamenti non ordinari o improbabili coincidenze, che molto spesso evidenziano la presenza di condotte illecite.

Vi è inoltre un altro studio portato avanti dall’ACFE (Associazione dei Certified Fraud Examiners) dove si evidenzia quanto sia molto più probabile che le illecite condotte vengano rilevate da una persona fisica presente nella stessa organizzazione più di mille controlli, sistemi di audit o altri strumenti, sempre utili assolutamente, ma come supporto e completamento alla percezione umana. Questo è dimostrato nello studio dal fatto che il 46,2% di tutte le frodi sono state scoperte da informatori interni, mentre solo il 3,2 % è stato rilevato da controllori esterni. Insomma, questo ha portato ad affermare che dal momento che più della metà di tutte le segnalazioni di condotte illecite provengono dai dipendenti, essi dovrebbero essere assolutamente incoraggiati a segnalare comportamenti sospetti o illeciti e devono essere confortati sul fatto che le segnalazioni possono essere effettuate in modo confidenziale e che l’organizzazione esclude ritorsioni contro gli informatori.

Dobbiamo però ricordare che negli Usa, hanno una lunga tradizione nell’incoraggiamento del whistleblowing e l’ordinamento giuridico addirittura premia i whistleblower accordando loro una percentuale del denaro recuperato.

Il primo esempio di legge a protezione e favore del whistleblower è stato nel 1912 quando fu promulgato il Lloyd-La Fayette Act, che introdusse la tutela dal licenziamento a favore dei dipendenti federali che avessero informato direttamente il Congresso su atti di corruzione o incompetenza dei loro responsabili gerarchici.

In seguito dagli anni 70/80 tale tipo di tutela venne estesa ad altri settori del diritto pubblico: ne sono esempio il Water Pollution Control Act (1972), il Safe Drinking Water Act (1974) e il Solid Waster Disposal Act (1976). Il motivo era pressoché legato essenzialmente all’urgenza di rispondere ai numerosi scandali ambientali che si erano verificati in quegli anni. Nello stesso senso si era mosso il Congresso nell’emendare il False Claims Act il 27 ottobre 1986.

In tanti sono convinti che serie politiche di protezione delle persone che hanno il coraggio di segnalare, individui la qualità di una strategia anticorruzione a livello generale. Incoraggiare le segnalazioni attraverso soluzioni efficaci di tutela è anche propedeutico a lanciare un chiaro messaggio, ovvero le intenzioni sono quelle di far, seriamente, prevalere il principio di lealtà all’ordinamento giuridico e all’interesse pubblico piuttosto che il principio di fedeltà al proprio gruppo o al proprio superiore, sia esso politico o amministrativo. Questo atteggiamento, che in teoria è condiviso da tutti, purtroppo nella pratica e nel clima che si respira all’interno delle organizzazioni, è ancora piuttosto avversato.

Ha fatto molto rumore il libro “Il disobbediente. Trovare il coraggio di denunciare quando tutti vogliono il silenzio, in cui Andrea Franzoso racconta la sua vicenda quando denuncio i fatti di corruzione, evitando la forma anonima ma mettendoci la firma, nell’azienda dove lavorava, in Ferrovie Nord dove il presidente stornava dalle casse pubbliche denari per spese private, fu un atto di coraggio che gli costò ritorsioni e poi la perdita del lavoro.

Una storia di eroismo? Forse di eroismo civile o semplicemente, (si fa per dire) di fronte al dilemma, salvare la propria coscienza o salvare la propria carriera, addirittura farne di più con il complice silenzio, Franzoso ha scelto la prima. In un Paese dove, come diceva Prezzolini “in Italia i furbi non usano mai parole chiare. I fessi qualche volta, Franzoso ha trovato il coraggio di denunciare, da uomo libero, la storia di una strisciante corruzione di denari pubblici nel silenzio di un gregge di ignavi.

Ed è proprio questo coraggio che deve essere tutelato e protetto.

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