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Balneari, il bivio del governo “spiaggiato” dopo la reprimenda di Bruxelles

Cosa succede ora? Succede che il governo ha sessanta giorni di tempo per garantire la messa a gara delle concessioni evitando così il deferimento alla Corte di Giustizia europea con annessa maximulta in caso di (prevedibile) condanna. Come reagirà la maggioranza di centrodestra?

Tanto tuonò che piovve. In spiaggia. Questa mattina la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera d’infrazione per il mancato rispetto della normativa sulle concessioni balneari. Una mossa che era nell’aria già da qualche giorno, come conferma il vertice di maggioranza convocato martedì scorso a Palazzo Chigi dalla premier Giorgia Meloni per fare il punto sulla strategia da adottare (restando in metafora) “in caso di pioggia”.

L’idea emersa era quella di provare ad aggirare i rilievi di Bruxelles prevedendo l’apertura di bandi per l’assegnazione di quel 67% di litorale “libero” risultante dalla mappatura delle coste nostrane realizzata nei mesi scorsi dallo stesso governo. Un modo, peraltro, per tutelare il restante 33% coperto dalle concessioni. Peccato che sia proprio su quest’ultima parte del piano che, da ormai quasi vent’anni, l’Europa continua a infilare il dito nella piaga.

Riavvolgiamo un attimo il nastro: nel dicembre 2006 Consiglio europeo e Parlamento di Strasburgo approvano la cosiddetta “direttiva Bolkenstein” (dal nome del suo estensore, l’allora commissario per il Mercato interno della Ue Frits Bolkenstein, economista olandese) sulla libera circolazione dei servizi. La nuova disciplina – recepita dal nostro Paese nel marzo 2010 – si applica, tra gli altri ambiti, anche alle concessioni demaniali marittime, per le quali è prevista una procedura di selezione pubblica imparziale e trasparente e – soprattutto – il divieto di rinnovo automatico.

E qui casca l’asino, perché in Italia quel 33% di concessioni già in essere si tramanda di padre in figlio da tempo immemore complici le proroghe di volta in volta assicurate dai diversi governi. Con la manovra varata a fine 2018, addirittura, il primo governo Conte era arrivato a prolungarne la validità fino al 31 dicembre 2033. Decisione che aveva provocato l’immediata e inevitabile reazione di Bruxelles con la conseguente messa in mora dell’Italia nel dicembre 2020.

Per tentare di dirimere l’annosa controversia, l’anno seguente il Consiglio di Stato aveva fissato al 31 dicembre 2023 il termine ultimo per riassegnare le concessioni tramite bando. Indicazione disattesa dal governo Meloni che – a dispetto della nuova pronuncia di illegittimità espressa il 20 aprile scorso dalla Corte di Giustizia europea nei confronti del comune tarantino di Ginosa Marina – ha procrastinato la scadenza di un altro anno con l’ultimo decreto Milleproroghe. Adesso però è arrivata la lettera scarlatta di Bruxelles, e non si può più nascondere la testa sotto la sabbia. Appunto.

Cosa succede ora? Succede che il governo ha sessanta giorni di tempo per garantire la messa a gara delle concessioni evitando così il deferimento alla Corte di Giustizia europea con annessa maximulta in caso di (prevedibile) condanna. Come reagirà la maggioranza di centrodestra? Dopo i tassisti, finirà per immolare sull’altare della ragion di Stato anche l’altra sua fedelissima falange elettorale, quella dei balneari? Neanche per idea.

L’intenzione – da quanto si intuisce dai commenti a caldo di alcuni esponenti del governo con in testa Matteo Salvini – sembra quella di proseguire con la exit strategy elaborata nelle ultime settimane, ovvero opporre alla Commissione la mancanza di quella “scarsità di risorse naturali” prevista dall’articolo 12 della direttiva Bolkenstein come requisito per indire le gare. Se le risorse in questione non sono scarse, infatti, la disciplina di riferimento diventa quella dell’articolo 11, che prevede una durata illimitata delle concessioni. È su quell’“abbondantissimo” 67% di spiaggia libera che si combatterà dunque la battaglia a suon di carte bollate tra il governo e la Commissione europea. Riuscirà Giorgia Meloni a fermare la “perfida” Bruxelles sulla linea del patrio “bagnasciuga”?



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