Il partito nato agli inizi del Duemila, è stato uno dei primi autorevoli tentativi di “partito plurale” nel nostro Paese. Una formazione con una netta cifra riformista, una leadership politica diffusa che riuscì a riunificare sotto lo stesso tetto varie culture politiche riconducibili al Centro. Il commento di Giorgio Merlo
Chi non è populista e quindi è antropologicamente alternativo rispetto a tutto ciò che ha rappresentato il grillismo nel nostro Paese, non può non ricavare dal passato alcuni elementi che restano, comunque sia, attuali nella società contemporanea. Anche e soprattutto sul versante politico dove, a volte, i modelli organizzativi conservano una efficacia e una modernità inaspettati. Tra questi, e in una stagione dove sono tramontati i vecchi partiti “identitari”, un progetto politico di Centro, oggi quantomai necessario ed indispensabile, non può che essere “plurale”. Un Centro, cioè, che sia in grado di dispiegare una vera ed autentica “politica di centro” e che sia, al tempo stesso, dinamico, innovativo, moderno e autenticamente riformista.
Un Centro, di conseguenza, che non sia nè statico e nè legato solo ad una passiva rendita di opzione equidistante tanto dalla sinistra radicale e massimalista di Schlein quanto dalla destra leghista e sovranista. Un Centro, infine, anche utile di fronte ad un bipolarismo politicamente inadeguato e, sul versante democratico, anche pericoloso. Ora, ad una precisa domanda politica, culturale ed organizzativa, deve necessariamente seguire un partito con una chiara piattaforma programmatica, un credibile profilo politico, un assetto democratico definito e una cultura politica adeguata. Insomma, dev’essere un luogo politico non affatto riconducibile all’esperienza dei partiti personali e dei partiti del capo. E la risposta, concreta e politica, a questa domanda la si può tranquillamente recuperare dal passato, pur senza alcuna regressione nostalgica.
E, al riguardo, il pensiero corre al “modello” della Margherita. Un partito nato all’inizio degli anni duemila, forse liquidato con eccessiva frettolosità dai dirigenti dell’epoca, che ha rappresentato, comunque sia, uno dei primi autorevoli tentativi di “partito plurale” nel nostro Paese. Una formazione con una netta cifra riformista, una leadership politica diffusa che riuscì a riunificare sotto lo stesso tetto varie culture politiche riconducibili al Centro.
Dal pensiero e dalla tradizione cattolico popolare e sociale al mondo ambientalista, dalla cultura liberal-democratica e laico repubblicana al filone socialista alla stessa tradizione del civismo presente a livello municipale e localistico. Insomma, una esperienza politica e partitica che non è più replicabile meccanicamente perchè sono cambiate, nel frattempo, le condizioni politiche di quella specifica stagione ma che, tuttavia, conserva un modello e un metodo che non sono affatto da archiviare.
Ed è per questi motivi, semplici ma essenziali, che quando oggi si parla di come ricostruire un’offerta politica centrista – che decollerà, comunque sia, con una lista alle prossime elezioni europee – si può tranquillamente recuperare quel modello di partito accompagnato dal metodo che l’ha contraddistinto molti anni fa. Ad una condizione, però. E cioè, che deve essere un partito aperto a tutti coloro che credono e si fanno carico di un progetto politico centrista e, soprattutto, a tutte le culture politiche lontane se non addirittura alternative rispetto ad ogni forma di massimalismo radicale, di populismo anti politico e di sovranismo anti europeo.
E quindi, nessuna preclusione aprioristica e nessuna pregiudiziale politica, ideologica e, men che meno, di carattere personale verso chicchessia. Il tutto accompagnato da un percorso costituente rigorosamente democratico e partecipativo e con un metodo organizzativo che permetta a tutti di sentirsi a casa propria, senza fedeltà precostituite e senza servilismi grotteschi e ridicoli nei confronti del capo di turno.