Dove va la Libia? Le elezioni che tra oggi e domenica, quando gli eletti daranno vita all’assemblea costituente, dovrebbero sancire il nuovo assetto istituzionale del paese, ricomporranno il puzzle economico-politico disintegratosi con la fine del potere di Gheddafi? In Cirenaica, regione culla della rivoluzione, gli abitanti vanno alle urne divisi da sentimenti contrastanti. Nonostante la gioia popolare del voto, per molti si tratta della prima volta, si teme che la nuova democrazia non metterà fine alla marginalizzazione nei confronti della Tripolitania. Proprio la sensazione di essere figli di un Dio minore è stata uno dei fattori scatenanti la rivolta partita da Bengasi.Timori di subalternitàSi teme che nonostante lo scrutinio poco cambierà nel ruolo subalterno della regione. Alle origini di queste frustrazioni vi è il modo in cui il Consiglio nazionale di transizione ha disegnato le circoscrizioni elettorali. Secondo quanto deciso dall’organo esecutivo provvisorio infatti la metà dei 200 seggi della futura assemblea costituente andranno ai rappresentanti della Tripolitania in quanto regione più popolata della Libia. La Cirenaica ne otterrebbe 60 mentre alla regione del sud del Fezzan vanno i restanti 40. Rapporti di forza respinti dalle elite della seconda regione libica. È Abdelkader Kadura a farsi portavoce di uno stato d’animo diffuso in parte della popolazione. “È inammissibile che al momento di scrivere una costituzione la maggioranza detti condizioni alla minoranza. Tutte le componenti della società libica vanno trattate in modo completamente paritario” afferma il docente di diritto all’università di Bengasi.Il Cnt ribadisce di non avere nessuna intenzione di riprodurre il sistema ultra centralizzato in vigore sotto Gheddafi. Secondo l’esecutivo provvisorio, all’assemblea costituente le altre due regioni disporranno insieme degli stessi seggi della Tripolitania. Premessa non del tutto rassicurante per la popolazione di Bengasi. Continua la percezione di essere trascurati da Tripoli mentre gli unici cambiamenti finora riguarderebbero bandiera e inno. I più diffidenti verso le nuove autorità tripoline sono i “federalisti”. Il termine non ha nulla a vedere con forme di governo anglosassoni ma designa i fautori di un ritorno al sistema federale con cui il paese è stato governato tra il 1951 e il 1963 durante il re Idriss Al-Senoussi. In questo periodo era la Cirenaica, zona dove erano stati scoperti immensi giacimenti di petrolio, a dominare economicamente e politicamente il giovane stato libico.
Federalismo: una minoranza rumorosa, una discussione positivaRiuniti il 6 marzo a Bengasi dalla personalità di Ahmed Zoubeir Al-Senoussi, lontano discendente del monarca che gode dell’appoggio di molti capi tribù, i “federalisti” hanno dato vita a un Consiglio interinario della Cirenaica. Uno smacco per il Cnt che ovviamente considera scenari decentralizzati per il paese ma respinge ogni discorso federalista. Si teme la frantumazione dello stato. In Libia il federalismo è un termine assai controverso. Agli occhi della maggioranza è sinonimo di separazione ma tutti ammettono quanto sia positiva la discussione sulla futura forma di Stato e governo innescata dall´uso della parola. La Libia di Gheddafi era estremamente centralizzata. Non solo Bengasi ma molte zone del paese hanno sofferto di questa architettura istituzionale dei rapporti tra centro e periferia. Perciò molti partiti e uomini politici ora mettono questa forma di governo tra le proprie promesse elettorali.
Avvicinandosi la data del voto i federalisti hanno accresciuto la pressione su Tripoli, facendo balenare anche scenari di boicottaggio dello scrutinio. Il vero obiettivo non è però la destabilizzazione del paese ma il ritorno parziale ai rapporti di forza precedenti il colpo di stato del Colonnello del 1969, quando Banca centrale, compagnie petrolifere, ambasciate e compagnie aeree avevano la loro sede a Bengasi. Secondo la propaganda “federalista”, Gheddafi si è preso tutto e il Cnt non ha restituito ancora nulla. “Se non verrà messa rapidamente la parola fine a questo squilibrio la divisione del paese è assicurata” affermano i seguaci di Ahmed Zoubeir Al-Senoussi.
I federalisti hanno sempre rifiutato azioni che potrebbero ostacolare il regolare andamento del voto, anche se i loro avversari, gli islamisti su tutti, diffidano e non intendono lasciare nulla al caso. “Saremo davanti alle sezioni elettorali per vigilare su ogni possibile uso della forza”. L’avvertimento arriva da Fawzi Boukatief. Parole di un certo peso visto che a pronunciarle è l’uomo forte di Bengasi, capo della coalizione delle brigate dell’est libico e membro di spicco dei Fratelli musulmani. Fino a pochi giorni fa l’allerta dei difensori dei diritti umani non considerava il rischio di confronti armati tra le differenti anime dei movimenti post-Gheddafi. Lunedì sera diverse migliaia di cittadini hanno protestato contro gli attacchi ai seggi e la distruzione di materiale elettorale commessi dai federalisti. Nessuno però prende sul serio le minacce di Senoussi. Nemmeno Hana Galal, direttrice di un centro umanitario a Bengasi e vicina al governo provvisorio. “Non si tratta di federalismo ma di una forma di tribalismo in salsa federale”, precisa la donna sottolineando che nessuno ha autorizzato questi gruppi “a parlare in nome degli altri”. L’attivista umanitaria non intende lasciarsi sfuggire l’occasione storica del voto e crede molto nelle capacità riformatrici del prossimo esecutivo per correggere gli squilibri del paese. “Abbiamo l’occasione di fondare un vero stato unitario. Tripoli deve però capire che la Libia va oltre la regione più grande del paese”.