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Perché la Nato sta prendendo sul serio la Cop28

Di Maurizio Geri

La Nato e le Nazioni Unite hanno trovato una causa comune per affrontare una sfida urgente che mette in pericolo le fondamenta stesse della civiltà umana. L’analisi di Maurizio Geri (Eu M.Curie Fellow 2024-2026)

L’Onu ha storicamente riconosciuto il cambiamento climatico come una minaccia esistenziale per l’umanità dal 1992. Fino ad oggi, la Nato non era stata al passo con le Nazioni Unite, ma ora ha adottato misure proattive per affrontare in maniera diretta la crisi climatica.

Gli stati membri dell’alleanza hanno identificato quindi delle opportunità in occasione del vertice COP28 a Dubai, per decidere le proprie priorità strategiche in alcune nuove aree. Le aree di interesse della tecnologia e dell’innovazione potranno infatti portare a progressi nelle capacità militari e nell’assistenza umanitaria, mentre l’attenzione alle comunità in prima linea e agli aspetti finanziari riguarda la stabilità e la resilienza delle regioni più colpite dai cambiamenti climatici, che sono spesso aree di interesse strategico per la Nato.

Per articolare questo nuovo approccio, nel giugno dello scorso anno l’Alleanza Atlantica ha pubblicato la sua innovativa “Valutazione dell’impatto sui cambiamenti climatici e sulla sicurezza”. Questo rapporto esaustivo sottolinea la cruda realtà che il cambiamento climatico non solo è destinato ad aumentare notevolmente i rischi per la sicurezza, ma si intensificherà man mano che il nostro pianeta continua a riscaldarsi. Le conseguenze minacciano di inaugurare un’era di migrazioni di massa, scarsità di risorse e instabilità politica mai vista prima. Gli stati membri della Nato stanno per questo iniziando a mobilitare le proprie forze in tutto il mondo, dall’aeronautica estone alle strategie di adattamento della Guardia di Stato della California.

Non sorprende dunque che la  nel “Dialogo ad alto livello sui cambiamenti climatici e la sicurezza” tenutosi durante il vertice del 2022, l’alleanza si sia impegnata a raggiungere l’obiettivo formidabile di ridurre le proprie emissioni di gas serra di almeno il 45% entro il 2030, con l’obiettivo finale di raggiungere zero emissioni nette entro il 2050. Questo ambizioso impegno riflette la realizzazione da parte della NATO del proprio ruolo nel mitigare la crisi climatica e nell’allinearsi con obiettivi globali più ampi per combattere il cambiamento climatico.

Mentre la Nato resta ferma nel sostenere l’Ucraina contro l’aggressione russa su un terreno più tradizionalmente orientato alla difesa, si avventura in un nuovo campo di battaglia: la lotta contro il cambiamento climatico. Il segretario generale Jens Stoltenberg si è rivolto virtualmente alla Conferenza Delle Parti (COP) durante la pandemia, senza lasciare dubbi sull’urgenza di questa lotta comune. Il suo messaggio ha sottolineato che la Nato, con un patto di adesione tra stati associato alla deterrenza militare e al sostegno reciproco, sta realizzando i suoi obblighi nell’affrontare le molteplici sfide poste dal cambiamento climatico.

La strategia passa anche dall’Artico e dalle nuove tecnologie

In una dimostrazione di sostegno al suo intervento di chiusura, il dottor Sultan Al Jaber, presidente della COP28, ha ricevuto solide assicurazioni anche dalla “Decima Conferenza del Circolo Polare Artico”. Questo evento straordinario, organizzato in collaborazione con diversi Stati membri della Nato, è stato caratterizzato da una sessione incentrata sulla prospettiva dell’alleanza nel futuro dell’Artico. Significativamente, si evidenzia che tutti i membri del Consiglio Artico, ad eccezione della Russia, sono membri della Nato o aspirano ad aderirvi.

Questa svolta ha trasformato il dibattito sul clima in un dibattito sulla difesa globale. Con esso, cresce la convinzione che l’imperativo per le istituzioni e i governi internazionali di unirsi in un’azione collettiva debba essere rispettato, sia sotto la bandiera dell’alleanza che sotto la missione generale delle Nazioni Unite.

L’Organizzazione per la scienza e la tecnologia (STO) della Nato ha recentemente ospitato un seminario sul cambiamento climatico e la sicurezza, che ha esaminato l’intricata relazione tra il cambiamento climatico e le strategie così come le operazioni dell’Alleanza Atlantica, evidenziando potenziali minacce alla sicurezza.

Per troppo tempo, il processo decisionale delle Nazioni Unite basato sul consenso si è scontrato con un ostacolo significativo alle riunioni della COP, dove la riluttanza di una singola nazione può effettivamente bloccare risoluzioni cruciali. La riluttanza della Cina ad unirsi a 150 nazioni nel limitare le emissioni di metano e nell’estendere gli aiuti ai paesi vulnerabili rimane un esempio ostinato di questa sfida.

Quest’anno, per la COP28, si sta formando un consenso palpabile, che potrebbe andare oltre il regno della retorica per trasformarsi in una potente forza di cambiamento. In particolare, stanno prendendo forma accordi cruciali, che comprendono non solo obiettivi di emissione ma anche questioni profonde, come i diritti e il benessere dei gruppi indigeni, le responsabilità delle grandi imprese e le innovazioni che possono fornire, nonché l’imperativo della sicurezza climatica.

L’attenzione della COP28 sul cambiamento climatico, sui suoi impatti e sulla risposta globale a queste sfide è profondamente intrecciata con le preoccupazioni di sicurezza della Nato. Il summit fornirà una piattaforma per impegnarsi nel dialogo, comprendere le sfide emergenti e sviluppare strategie per affrontare le tante implicazioni del cambiamento climatico sulla sicurezza.

Si sta lentamente imparando una lezione: impegnandosi negli sforzi per mitigare il cambiamento climatico, la NATO può agire anche per affrontare le cause profonde dell’instabilità e dei conflitti.

Attraverso questo nuovo quadro, è evidente che lo slancio verso la formulazione di soluzioni unificate e integrate alle questioni climatiche si sta rafforzando. In queste discussioni che collegano le sfere della sicurezza, della difesa e della sostenibilità, possiamo tracciare un percorso che ricordi a tutti gli Stati che la questione climatica è più di una questione politica, è una questione esistenziale.

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