A ottant’anni dalla nascita della Democrazia cristiana, il professore di Comunicazione politica presso l’Università degli studi Roma Tre Edoardo Novelli ripercorre le tappe con cui il partito ha trovato un proprio stile e una propria cifra comunicativa distintiva
Alcuni aspetti della comunicazione politica ed elettorale della Dc nel corso dei suoi ottant’anni di storia sono una diretta conseguenza dei tratti costitutivi e distintivi di questo partito. Innanzitutto la sua natura interclassista e popolare che lo obbliga a rivolgersi e comunicare con tutti gli strati sociali e, in particolar modo, con le fasce più popolari e anche meno istruite e politicizzate, che costituiscono la gran parte del suo bacino elettorale. Quindi la forte componente e matrice cattolica che costituisce un richiamo sempre presente, a partire dal nome, e lo porta a guardare e utilizzare repertori simbolici e registri iconografici sviluppati e collaudati in ambito religioso. Non solo la croce, che campeggia nello scudo, ma anche modelli raffigurativi, come le donne e l’infanzia e tematiche e toni che sovente riprendono l’iconografia sacra e il vocabolario religioso. Terzo, essere un partito organizzato in correnti in competizione, i cui leader si alternano alla guida, impedendo l’identificazione in una singola figura – forse con l’unica eccezione di De Gasperi nella prima fase della storia repubblicana – e di conseguenza una personalizzazione della comunicazione.
A questi aspetti per così dire strutturali si aggiunge il fatto che, a differenza di partiti quali il comunista e il socialista, la Democrazia cristiana non è animata da un anelito pedagogico ed educativo nei confronti dei suoi iscritti, militanti ed elettori. Quello formativo ed etico è un ambito di cui si occupa prevalentemente la chiesa. Quindi la comunicazione del partito, priva di altri obblighi o obiettivi, si concentra sui temi e sulla battaglia politica. L’insieme di questi elementi fa sì che nell’immediato dopoguerra la comunicazione della Dc fatichi a trovare un proprio stile e una propria cifra distintiva. I suoi manifesti oscillano tra il cartellonismo cinematografico, la riproposizione di stili e linguaggi elaborati e usati dal fascismo e l’attenzione verso il linguaggio pubblicitario, al punto da commissionare un manifesto al maestro dell’affiche pubblicitaria Marcello Dudovich. Ben più forti e decisi sono lo stile e la comunicazione dei Comitati civici, organizzazione voluta dal Papa Pio XII a supporto della campagna anticomunista del 1978.
Fra la fine degli anni 50 e l’inizio dei 60, cioè con la fine della Guerra fredda e l’avvio del boom economico, la comunica- zione della Dc si modernizza. Cambiano i toni, alla strategia della paura e del peri- colo subentra quella della seduzione. Un segno già percepibile nelle tre serie di manifesti multisoggetto, prodotti sul modello delle campagne pubblicitarie commerciali per la campagna elettorale del 1953.
I diversi responsabili della comunicazione e delle campagne elettorali del partito, Adolfo Sarti, Bartolo Ciccardini e Gian Aldo Arnaud, guardano all’estero. Dalla Cdu tedesca viene lo slogan “progresso senza avventure”, per la campagna elettorale del 1958; la bionda e suadente ragazza del manifesto del 1963 “La Dc ha vent’anni”, slogan ispirato da Ernest Dichter, è ripresa dal manifesto creato dalle pubblicitarie francesi Lefor-Openo a supporto del referendum per la Quinta repubblica voluto da De Gaulle in Francia. E sempre in questi anni iniziano a essere commissionati o elaborati al proprio interno sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani e anche sul gradimento dei teleabbonati nei confronti dei diversi esponenti del partito che partecipano alle prime trasmissioni di Tribuna elettorale, che fa il suo esordio per le amministrative del 1960.
Gli anni della contestazione prima e ancor di più quelli dell’austerity e del terrorismo incidono in maniera diretta anche sulla comunicazione del principale partito di governo alle prese con un sistema politi- co sempre più instabile. L’operazione di rinnovamento tentata nel 1976 all’insegna dello slogan “La nuova Dc è già cominciata”, in concomitanza dell’elezione a segretario di Benigno Zaccagnini, non incide però più di tanto sulla percezione e l’immagine del partito.
La comunicazione che accompagna l’ultima stagione della Democrazia cristiana abbraccia in maniera esplicita la pubblicità commerciale. Forse, l’estremo tentativo di cambiare immagine e modernizzare un partito ininterrottamente al governo da oltre quarant’anni. Dalla creatività dell’agenzia Rscg e di Marco Mignani, autori delle campagne Mulino Bianco della Barilla e della Milano da Bere dell’amaro Ramazzotti, nasce per le elezioni politiche del 1987 la campagna “Forza Italia: fai vincere le cose che contano”. Manifesti con testimonial tipo Standa e Postalmarket e uno spot con immagini flue, un jingle sdolcinato e personaggi della bella Italia. Il risultato in termini elettorali è buono, più 1,3% sulle elezioni del 1983. I frutti di quella campagna, almeno in termini creativi e comunicativi, li coglierà, a breve, qualcun altro.
(Rivista Formiche 197)