Il governo Meloni rappresenta un modello di stabilità e dunque un riferimento importante su cui incardinare i nuovi possibili equilibri europei. Dalla sua Giorgia Meloni ha di non aver sbagliato la comunicazione su due temi essenziali per il futuro dell’Europa: immigrazione e transizione ecologica. Il doppio bilancio di Gianfranco Rotondi
Una volta erano i barbieri a donare i calendari a fine anno, oggi è la politica a distribuire previsioni e promesse per i dodici mesi a venire. Magari erano preferibili le scintillanti cartoline profumate degli antichi coiffeur, ma volentieri mi presto a un doppio bilancio dell’anno che finisce, con qualche previsione per quello entrante.
Al netto delle mie preferenze di parte, penso che il governo esca rafforzato dal 2023: intanto lo dicono i sondaggi, il governo italiano essendo il solo esecutivo europeo con il vento del consenso popolare in poppa. Si dirà che gli statisti non debbono guardare al consenso, ma neppure distrarsene troppo, dunque bene così.
Altro discorso è valutare la resa governativa in un contesto diverso dal giochino di chi vince e chi perde. Pensiamo dunque alle grandi coordinate della politica interna ed estera: tenuta della coalizione, confronto con l’opposizione, agenda internazionale. Come non promuovere Giorgia Meloni? La sua coalizione è saldamente ancorata al programma elettorale, e porta avanti con equilibrio e decisione tutte le sfide più spinose, dall’autonomia al premierato e alla riforma della giustizia. I profeti di sciagura preconizzavano l’implosione della maggioranza su ciascuna di tali questioni, esse invece avanzano con una fluidità quasi Dorotea, insospettabile in forze politiche maturate a grandi distanze dal felpato stile democristiano.
Il bilancio di previsione naturalmente coincide con il giudizio positivo sull’anno trascorso: nel 2024 si tratterà di realizzare le riforme e le proposte ben impostate e canalizzate nel primo anno di governo.
Meloni ha la prospettiva di una legislatura intera sulla cui anticipata interruzione nessuno scommette: l’opposizione si fa in quattro, ma non nel senso della vitalità, bensì in quello tecnico di essere divisa in quattro forze separate e distinte, senza tratti comuni, tranne la evocazione di un fantomatico campo largo dove si dovrebbero distendere differenze stridenti, e dove dovrebbero miracolosamente armonizzarsi il garantismo di Renzi col giustizialismo di Cafiero De Raho, l’atlantismo di Enrico Letta e il terzismo dei cinque stelle.
Non vorrei smargiassare, mi pare però di dover constatare che il maggior punto di forza di Giorgia Meloni sia questa opposizione. Certo, è in arrivo una bella infilata di scadenze elettorali, e l’urna può sempre consegnare sorprese. Ma ragionevolmente il governo non sarà turbato dall’apertura delle urne nelle tre regioni in procinto di andare al voto, e tantomeno dall’esito delle elezioni europee, dove il solo rischio è un eccesso di consenso per la Meloni a scapito degli alleati (non a caso la premier abbonda in bon ton ,poco manca che chiuda i discorsi con le parole di de Gasperi che invitava gli elettori ‘a votare per gli alleati se proprio non amavano la Dc’).
Certo, lo scenario internazionale è inquietante, ma ciò non influenza in senso negativo la previsione di durata del governo. E pure lo scenario europeo si presenta ben diverso dalla narrazione provinciale dell’isolamento del governo italiano.
La realtà è che il governo Meloni rappresenta un modello di stabilità e dunque un riferimento importante su cui incardinare i nuovi possibili equilibri europei. Dalla sua Giorgia Meloni ha di non aver sbagliato la comunicazione su due temi essenziali per il futuro dell’Europa: immigrazione e transizione ecologica. Su entrambi è in corso un visibile riposizionamento dei principali partner europei: sull’immigrazione Macron scopre dove può arrivare l’ideologia dell’accoglienza indiscriminata, portatrice nel suo paese di una vera e propria emergenza sociale e di ordine pubblico; quanto alla transizione ecologica, è la Germania ad aver scoperto dove conduce una declinazione ideologica del riscaldamento climatico: al trionfo della industria cinese e al declino di quella tedesca, la prima promuovendo il prodotto elettrico, la seconda essendo rimasta indietro su questo tema.
Come si vede, il calendario di fine anno è intrigante per il futuro del governo e soprattutto dell’Italia, che poi è la sola cosa che dovrebbe contare davvero.