Il Presidente ha fatto della solidarietà la sua bandiera. Anche il messaggio di quest’anno ne è pregno, pur avendo scelto una cifra che sembra un urlo munchiano contro la violenza, quella “tra gli Stati”, e quella nelle “nostre strade”, nelle scene di vita ordinaria, nelle parole, e, al pari degli orrori più feroci, quella “contro le donne”. Il commento di Pino Pisicchio, autore di “La solidarietà come dovere costituzionale nei messaggi di Mattarella” (Cacucci Editore)
I messaggi di fine anno del Capo dello Stato sono qualcosa di più di una esternazione occasionale che il Presidente può fare oppure no in base a valutazioni dettate dalla particolare contingenza. Si tratta, invece, di gesti che appartengono ad una consuetudine di valore costituzionale, peraltro osservata dalla stragrande maggioranza dei capi di Stato in tutti i continenti, che si iscrivono nel particolarissimo rapporto dialogico del Presidente con il popolo sovrano.
Così stringente è questa consuetudine- inaugurata da Einaudi- che quando il Presidente Cossiga nella sua ultima stagione al Quirinale (quella delle picconate contro la politica) decise di non pronunciare il suo discorso di Capodanno, non mancò di presentarsi davanti alle telecamere per scusarsi di non procedere al messaggio del 31 dicembre 1991. Lo fece dichiarando di non aver voluto interrompere la consuetudine. In realtà il Presidente della Repubblica nel suo bilancio a conclusione di un anno e nel suo auspicio per il nuovo anno, riempie di senso la sua vocazione primaria di rappresentare l’unità della nazione secondo il dettato costituzionale. Ogni Capo dello Stato lo fa con il suo stile: Pertini sarà ricordato per la sua
nuova e speciale attenzione al medium televisivo, Cossiga per la sua ammirazione per il modello Westminster, Ciampi per la riscoperta del tricolore, Napolitano per il suo interventismo.
Di Mattarella non si potrà non ricordare l’attenzione privilegiata ai temi della solidarietà, coerente con la sua personale sensibilità culturale di cattolico-democratico con una decisa assonanza con i costituenti come Dossetti, La Pira e Moro che iscrissero materialmente quei principi in Costituzione. A ben vedere, i principi di solidarietà e di uguaglianza rappresentano una sorta di sintesi magistrale dell’intera architettura costituzionale, irradiata dagli articoli due e tre, che chiedono allo Stato di farsi attivo nella solidarietà per rendere concreta l’uguaglianza. Non è solo una questione di analisi semantica, che pure restituisce per i nove anni dei suoi messaggi ricorrenze precise: il Presidente Mattarella ha fatto della solidarietà la sua bandiera, non trovando sponda nella politica, purtroppo, ma solo nella voce di Francesco dall’altra parte del Tevere.
Anche il messaggio di quest’anno (leggi qui il testo integrale), così come i precedenti, ne è pregno, pur avendo scelto una cifra che sembra un urlo munchiano contro la violenza, quella “tra gli Stati “, e quella nelle “nostre strade”, nelle scene di vita ordinaria, nelle parole, e, al pari degli orrori più feroci, quella “contro le donne”. Una violenza che, a furia d’essere narrata dai media in una coazione a ripetere che ne scortica la patina di inaccettabilità, alla fine rischia di produrre assuefazione e di ridurre, per esempio, a mera contabilità di morte il numero dei soldati uccisi, esibiti dai belligeranti come trofei di guerra e non come esseri umani. È il grido gentile del Presidente che denuncia gli “enormi guadagni” dell’industria bellica e rivendica una “cultura della pace” non come esercizio di “astratto buonismo”, bensì come realismo.
La sua “pedagogia della pace” significa, dunque, no a tutte le violenze: da quelle metropolitane delle baby gang , alla “violenza odiosa sulle donne” perché “ cari ragazzi l’amore non è egoismo, ma è dono”, alla violenza nella Rete, alla violenza come “culto delle conflittualità” richiamo che forse in politica trova un campo di applicazione assai vasto. Ma, dicevamo, la solidarietà intride tutto il suo messaggio: dal riconoscimento giusnaturalista dei diritti umani che sorgono ancor prima del sorgere degli Stati, al diritto al lavoro ( che manca, che è sottopagato, o non coerente con la formazione avuta), al diritto alla salute ( le liste d’attesa per un esame), ai diritti delle giovani generazioni, degli anziani, delle donne ( una parità che tarda ad affermarsi), dei migranti.
Il Presidente vola alto: parla di Intelligenza Artificiale come “grande balzo della Storia”, ma la rivoluzione tecnologica va accolta a condizione che resti “umana” e che le libertà individuali, a cominciare dalla scelta di voto, siano garantite. Insomma: i padroni del Web, gli Over the Top, i Mask, i Zuckerberg, i Bezos devono trovare i limiti del diritto e delle costituzioni democratiche al loro assolutismo. Un monito alla politica? Se lo è supera certamente quella nostrana, e raggiunge orizzonti globali. A quella nostrana ricorda la forza solidale della gente di Cutro, degli angeli del fango che cantano “Romagna mia”spalando detriti, delle ragazze che manifestano contro la violenza alle donne, delle Forze dell’Ordine che fanno il loro dovere in silenzio. Il dovere nel silenzio: questo sì che è un monito alla politica. Inutilmente chiassosa.