La mia speranza è quella che Lei, ormai unico baluardo certo e saldo del nostro sistema istituzionale, estraneo ed immune dai bassi e rissosi rituali della politica, possa aver in mente un percorso di risanamento del sistema della Giustizia che il riserbo con cui la materia va gestita Le consiglia di non manifestare, almeno fin quando le condizioni non lo consentiranno. Ecco le parole che il generale Leonardo Tricarico rivolge al Presidente della Repubblica
Signor Presidente, Lei sa quanta ammirazione e rispetto io abbia sempre riservato alla Sua persona, prima ed oltre che al Capo dello Stato.
È con questi sentimenti immutati che, superando una comprensibile ritrosia, Le debbo confessare che nel Suo messaggio di ieri sera ho atteso invano anche una parola sulla Giustizia, una semplice menzione che ci facesse percepire che, oltre a tutti i diritti costituzionali da Lei così esaustivamente rassegnati, anche quello alla giustizia fosse nei Suoi pensieri, nella Sua considerazione.
Alcuni recenti clamorosi casi giudiziari e il dibattito sull’emendamento Costa ha ricordato ancora una volta l’importanza di distinguere tra giustizia e giustizialismo, soprattutto nelle fasi iniziali del procedimento penale, quando il diritto e il buon senso impongono il rispetto della presunzione d’innocenza per evitare di infondere e radicare nel cittadino innocente il risentimento, la frustrazione il senso di impotenza derivati dai danni di ogni tipo, morali e materiali, talvolta irreparabili personalmente e nel contesto sociale e familiare in cui vive. Nessuno può stimare con precisione quanto l’infezione giustizialista nel corpo giudiziario sia estesa e profonda e tuttavia, la percezione che non si tratti di casi isolati è prevalente rispetto a sporadici incidenti di percorso, soprattutto perché ciascuno conosce per esperienza diretta almeno un caso di ingiustizia.
Mi consenta di limitarmi a uno al tempo stesso remoto e vicino, per il quale una Sua parola avrebbe fatto sperare in una via di uscita da una condizione ormai intollerabile sia ancora ipotizzabile, concreta e percorribile.
Personalmente potrei citare molti casi per esperienza diretta. Mi consenta quindi di limitarmi all’ultimo in ordine di tempo, quello dell’attentato di Ustica del 1980, una tragedia in cui si insiste ancora oggi a non indagare nella giusta direzione per scoprire chi collocò a bordo del velivolo la bomba che causò la morte di 81 cittadini. Un atteggiamento incomprensibile della Procura competente ha portato tempo fa ad assegnare le indagini in merito ad un Sostituto convinto – e lo ha scritto in un libro- che la caduta del DC-9 Itavia sia stata causata da un missile, ipotesi che, nonostante la perdurante popolarità mediatica e politica durante l’infinita istruttoria, in sede penale che è stata sconfessata senza ombra di dubbio ed in maniera incontrovertibile in tre gradi di giudizio.
Come cittadini quindi non possiamo che prendere atto dell’incapacità del mondo politico ed istituzionale a metter mano alla questione Giustizia, di cui ormai nessuno disconosce l’importanza e l’urgenza.
Molte volte è venuto da chiedersi se Lei avesse tracciato una Sua personale linea rossa da non superare, un limite da non oltrepassare oltre il quale, avvalendosi anche delle potestà di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, iniziasse a concepire un argine alle tracimazioni quotidiane, verbali e comportamentali, di certi magistrati, purtroppo sempre meno isolati ma auspicabilmente ancora circoscrivibili.
La mia speranza è dunque quella che Lei, ormai unico baluardo certo e saldo del nostro sistema istituzionale, estraneo ed immune dai bassi e rissosi rituali della politica, possa aver in mente un percorso di risanamento che il riserbo con cui la materia va gestita Le consiglia di non manifestare, almeno fin quando le condizioni non lo consentiranno.
Questa è la nostra ultima speranza, aggrappato alla quale, Signor Presidente, Le porgo insieme alle scuse, i più riconoscenti, convinti e partecipi voti augurali per il 2024 e per il resto del mandato.