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Quale direzione per la Destra al bivio, tra governo e Ue. La riflessione di Fracchiolla

L’adesione convinta alla patria europea rappresenta la chiave di volta per il chiarimento della destra italiana. La prova di maturità può avvenire per due vie. Ecco quali nell’analisi di Domenico Fracchiolla, professore di Storia delle Relazioni internazionali Università Mercatorum, Luiss

In un post social di questi giorni, Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza dell’adozione della legge finanziaria, approvata senza ricorrere all’esercizio provvisorio, in linea con il programma votato dagli italiani e che si concentra su famiglie, lavoro e imprese. Il Presidente del Consiglio giudica straordinari anche i risultati conseguiti in tema di Pnrr: 4° rata in arrivo e richiesta della 5° rata.

In effetti, pur con i gravi ritardi e nell’incapacità amministrativa della fase di progettazione e spesa del Pnrr, i dati economici positivi legittimano la soddisfazione e premiano il lavoro del governo: l’occupazione al 61% (di cui molta parte di incrementi femminili), l’inflazione tendenziale in ribasso, la crescita allo 0,7%, lo spread sotto controllo e le agenzie di rating che promuovono l’Italia. Sul piano internazionale, il pragmatismo di Giorgia Meloni, caratterizzato da un convinto Atlantismo e Europeismo moderato, è molto apprezzato dai maggiori alleati e dai mercati finanziari.

Inoltre, i rapporti diplomatici dell’Italia conoscono un nuovo impulso verso l’elaborazione di una strategia globale di medio termine verso il Mediterraneo allargato, con il Piano Mattei, e verso il Grande Medio Oriente e l’Indo pacifico, con relazioni più strette con paesi strategici, a partire dall’India.

Tuttavia, lontano dalla retorica e dalla propaganda incrociata, tra slanci futuristi del Marinetti Foti che alla Camera dichiara “il futuro siamo noi” e la ruvida vacuità delle stroncature tout court delle opposizioni, divise e senza idee, la destra italiana deve compiere una scelta non più rinviabile di cultura politica. Le analisi del primo anno di attività del governo italiano convergono su due valutazioni: il presidente del Consiglio è generalmente considerato un politico capace e preparato, quali che siano i giudizi sulla sua azione politica, la destra di governo di FdI si trova davanti ad un bivio strategico. Abbandonata la cultura politica di lotta delle origini populista e sovranista, da una parte FdI ha la possibilità di una prospettiva europea nazionalista, pragmatica e liberale, dall’altra, l’evoluzione verso un conservatorismo europeista, ancorché pragmatico e pur sempre liberale. La composizione dei gruppi del nuovo Parlamento Europeo dopo le elezioni a giugno 2024 fornirà chiare indicazioni delle scelte di FdI.

La politica dei due forni di Roma, a volte al fianco dei Paesi più piccoli, anche con i sovranisti, spesso predoni di risorse e avari di europeismo, e altre volte allineata con i grandi Paesi leader della migliore tradizione europeista, Francia e Germania, ha finito per impoverire la posizione di Paese fondatore, media potenza e grande economia, che legittimamente Roma svolge. In un gioco in cui chi troppo vuole nulla stringe, il governo rischia un ridimensionamento dell’ottimo lavoro di accreditamento e valorizzazione dell’eredità del governo Draghi svolto con efficacia. La perdita di credibilità in Europa per la mancata ratifica del Mes ha reso evidente questo snodo da affrontare. Le tendenze al party government dell’attuale governo, con Giorgia Meloni leader di partito, leader della maggioranza parlamentare e capo di governo aggravano il malcontento generato in Europa per la mancata ratifica. D’altra parte, già nei giorni precedenti, le conseguenze negative di questo mancato posizionamento sono risultate evidenti nell’accordo al ribasso sul Patto di Stabilità, dove l’Italia ha seguito l’impostazione della Francia e ha subito la volontà tedesca, ottenendo di guadagnare tempo (3 anni) prima di aggiustamenti rigorosi che richiederanno manovre restrittive. La proposta della Commissione, decisamente più favorevole ed elastica verso Paesi indebitati per i tempi e le modalità di rientro, non è stata inspiegabilmente mai posta al centro di una seria iniziativa diplomatica di Roma nei mesi precedenti.

L’adesione convinta alla patria europea rappresenta la chiave di volta per il chiarimento della destra italiana. La prova di maturità può avvenire per due vie. Da una parte, vi è la strada dell’adesione inequivocabile ai valori liberali, moderati e conservatori del Ppe, nella tradizione di De Gasperi e nella prospettiva di un forte europeismo sovranazionale, federalista, cattolico e cristiano. In alternativa, senza perdere di slancio e credibilità, un altro percorso di maturazione di statura europea, lontano dalle contraddizioni in termini delle alleanze sovraniste del Fronte di Visegrad, è rappresentato dal rilancio di un processo europeo diverso dal pensiero unico federalista di Bruxelles, rispolverando l’Europa delle Patrie di De Gaulle.

A volte evocata, poco conosciuta e mai seriamente perseguita come programma politico dopo il generale, la proposta politica di un’Europa meno tecnocratica e più leggera di burocrazia, meno dirigista e più liberale, molto politica e completamente intergovernativa, potrebbe rappresentare un’alternativa.

In poche parole, è la proposta di una Confederazione europea, rilanciata di recente da Giulio Tremonti, in cui cambiano il metodo e la sostanza delle politiche, insieme ai ruoli degli attori, ma non cambiano le finalità. L’anima intergovernativa è ben presente nell’attuale architettura istituzionale dell’Ue, ma bloccata dalla regola dell’unanimità di una comunità a 27 Stati e dalla dimensione sovranazionale, che consente agli opportunismi nazionalistici di nascondersi dietro la dimensione delle politiche comunitarie. Oggi, diversi Paesi di recente integrazione, incassano i vantaggi economici, politici, di sicurezza e di policy europea, ma non si adeguano ai parametri democratici di rule of law, ai valori europeistici e alla solidarietà richiesta sui dossier scottanti come migranti e regole finanziarie. Secondo l’approccio confederale, le difficoltà e i lunghi tempi per forgiare una nuova patria europea attraverso l’integrazione sono superati dall’adesione ai comuni valori europei esistenti nei singoli Stati, dove la sovranità rimane saldamente nelle mani dei governi nazionali che nella Confederazione europea deciderebbero su tutto, a maggioranza, senza veti e senza comportamenti free rider dei sovranisti di turno. Un’Europa non più sovranazionale, ma squisitamente intergovernativa.



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