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Subito con un decreto legge sul lobbying. L’appello del prof. Petrillo

Di Pier Luigi Petrillo

Una legge sul lobbying non deve avere una logica punitiva ma una visione prospettica: regolare un mercato attualmente sregolato, non può che servire prima di tutto ai lobbisti stessi così da espellere i tanti improvvisati che, in virtù di occasionali colpi di fortuna o qualche buon contatto telefonico, pensano di poter influenzare il potente di turno. Il commento di Pier Luigi Petrillo professore di Teoria e tecniche del lobbying alla Luiss e all’Università Unitelma Sapienza

Il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, in una intervista sul Sole 24 Ore, commentando la vicenda Verdini, è tornato su una annosa questione: la regolamentazione delle lobby. Per Busia lo scandalo in corso potrebbe servire come una “sveglia per portare finalmente ad un intervento normativo organico non solo in materia di lobby ma anche di conflitto di interesse”. Lo stesso presidente, in realtà, aveva già evidenziato tale esigenza, spingendosi finanche ad appellarsi al parlamento e al governo perché colmasse tale lacuna.

D’altronde in tutti i Paesi democratici, con l’eccezione di Italia, Grecia e Spagna, esistono norme puntuali che disciplinano la relazione tra interessi privati e soggetti pubblici, nella consapevolezza che i primi hanno tutto il diritto di influenzare i secondi a condizione che sia assicurata la parità di accesso e la trasparenza del processo decisionale. Si tratta di due condizioni cruciali: stando, infatti, alle cronache giornalistiche, sembra che certi soggetti utilizzavano contatti privilegiati per influenzare le decisioni in merito ad appalti, nomine e norme. Chiaramente tutto dovrà essere verificato, ma il tema resta perché, anche se la vicenda dovesse sgonfiarsi come avvenuto per tanti simili presunti scandali, non è pensabile che la relazione tra portatori di interessi e decisore pubblico resti opaca per sempre.

Dieci anni fa, su questo giornale, abbiamo posto la medesima questione e tratteggiato il contenuto di una possibile regolamentazione. A distanza di dieci anni nulla si è mosso. Nella scorsa legislatura, a dire il vero, la Camera dei deputati ha approvato una proposta organica, per certi versi lacunosa e problematica ma almeno rappresentava un segnale dato dalla politica alla pubblica opinione e ai professionisti del settore; il testo si arenò in Senato e poi decadde con lo scioglimento anticipato del Parlamento. In questa legislatura, il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati, Nazario Pagano, ha costituito un gruppo di lavoro ed entro l’estate ci sarà una proposta in materia. Tuttavia serve un intervento immediato.

Nella conferenza stampa di qualche giorno fa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha rimarcato come, nel suo governo, non ci sia posto per gli affaristi e i lobbisti (immaginando che volesse riferirsi ai “lobbisti disonesti” e non all’intera categoria). Se le parole della premier hanno un peso, occorre ora che il governo intervenga, con un decreto legge, a regolare le lobby partendo da 4 norme essenziali:

1) definire chi può esercitare tale professione e quali caratteristiche deve avere;

2) prevedere per i lobbisti parità di accesso al decisore pubblico secondo rigorose regole di trasparenza;

3) introdurre l’agenda pubblica degli incontri tra lobbisti e decisori perché non c’è nulla da nascondere ed è normale che in un paese civile chi rappresenta interessi particolari abbia il diritto di portarli alla conoscenza di chi decide a condizione che il cittadino ne sia informato;

4) fissare criteri di incompatibilità per chi ha cessato incarichi pubblici così da evitare il fenomeno delle “porte girevoli” tale per cui chi prima decideva ora fa il lobbista e viceversa.

Certo, servirebbero altre norme (ad esempio in materia di finanziamento della politica) ma intanto queste prime quattro potrebbero fornire una minimale risposta alla questione della trasparenza e tranquillizzare, da un lato, gli investitori stranieri e, dall’altro, i cittadini. Non dimentichiamoci, infatti, che molti investitori esteri decidono di stare lontano dal mercato italiano perché non sono chiare le regole di ingaggio dei decisori pubblici; in Francia, negli ultimi quattro anni, è quasi raddoppiato il numero di investimenti esteri ed uno dei motivi è connesso all’approvazione della legge Sapin che ha regolato l’accesso dei lobbisti ai decisori.

Una legge sul lobbying non deve avere una logica punitiva ma una visione prospettica: regolare un mercato attualmente sregolato, non può che servire prima di tutto ai lobbisti stessi così da espellere da questo contesto i tanti improvvisati che, in virtù di occasionali colpi di fortuna o qualche buon contatto telefonico, pensano di poter influenzare il potente di turno. I lobbisti sono dei professionisti, al pari degli avvocati, degli ingegneri, dei medici, dei giornalisti. Perché allora per questi solo non ci sono regole e chiunque, svegliandosi la mattina, può mettere su una società di lobbying e sfruttare qualche utile conoscenza?

I lobbisti ci insegnano che occorre intervenire sul legislatore prima che questo decida di intervenire: ora il tempo è scaduto e dai lobbisti non sono arrivate proposte di autoregolamentazione. E’ dunque dovere della Presidente Meloni dimostrare che davvero non vuole che gli affaristi prendano piede nel suo governo; ci attendiamo, di conseguenza, che presenti una proposta ad efficacia immediata, con poche norme ma chiare. Se non dovesse farlo, come potrebbe dire di essere estranea a certi comportamenti che offendono le istituzioni pubbliche ed anche i numerosi professionisti seri ed onesti che fanno lobby nel pieno rispetto della Costituzione e delle leggi?



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