Il tema delle catene globali del valore è divenuto ancora più centrale dopo il conflitto a Gaza, quello russo ucraino e più in generale negli equilibri di forza geopolitici, in rapida evoluzione. Un tema di interesse strategico tanto per l’Europa quanto per l’Italia. L’analisi di Pietro Stilo, coordinatore scientifico dell’Osservatorio geoeconomia e sicurezza globale, e Francesco Serra, cultore di Diritto Tributario presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria
Le tensioni nel Mar Rosso, dove transitano materie prime e forniture energetiche verso l’Europa e il Mediterraneo, rappresentano ad oggi, motivo di forte preoccupazione. Dallo stretto di Bab Al Mandab passa il 15% del commercio marittimo globale, in particolare cereali, gas e petrolio. Una via d’acqua con due strozzature molto importanti (l’altra a nord è Suez), fondamentale per la continuità delle forniture internazionali, fortemente frammentate a livello globale.
I motivi principali di tali preoccupazioni , sono lo sbilanciamento delle catene di valore verso Paesi non sempre like-minded con l’Occidente e poi la difficile attuazione del reshoring o nearshoring (anche se necessario in alcuni settori), un tema che va affrontato e discusso in chiave prospettica. La fluidità dei traffici marittimi interessa soprattutto i cosiddetti “colli di bottiglia” e cioè istmi, stretti o canali da dove passano le navi che portano i container da una parte all’altra del mondo.
Da qui l’importanza della stabilità geopolitica degli stessi per evitare shock le cui conseguenze sarebbero non solo economico commerciali (i costi di spedizione e di assicurazione stanno già lievitando sensibilmente), ma anche di natura securitaria e politica.
Un ragionamento interessante in chiave i nnovativa sulla possibilità di ripensare a nuove aree dove allocare la produzione delocalizzata, viene esposto nel “The potential of Africa to capture technology intensive global supply chain” della United nations conference on trade and development (Unctad), nel quale il Continente africano viene considerato quale potenziale hub strategico per le catene globali del valore, delle forniture e in prospettiva anche della distribuzione.
In Africa, secondo il Report Unctad 2023, si trovano materie prime importanti e in piccola parte anche semi lavorati (mercato quest’ultimo che potrebbe espandersi decisamente) utili per l’industria delle nuove tecnologie, ad esempio per il settore delle auto elettriche e in particolare le batterie, ma anche per la telefonia mobile e per tutte le tecnologie a elevato impatto.
Ci sono due ulteriori elementi di vantaggio per l’Africa, la geografia che consente al continente di espandere le merci verso ogni direzione del globo e la demografia avendo una popolazione in crescita con una età media molto bassa e di conseguenza un capitale umano potenzialmente enorme se adeguatamente formato. Punti di criticità che si possono ravvisare sono invece, le carenze infrastrutturali di alcuni Paesi e le instabilità politiche interne ad alcune realtà, si pensi ad esempio alla recente ondata di colpi di Stato ha interessato in particolare gli esportatori di minerali critici quali Guinea, Niger e Gabon.
Nel quadro appena delineato va ricordato come le rappresaglie dei ribelli yemeniti Houthi a danno dei convogli marittimi, dovrebbero porre l’Europa e l’Italia sulla linea della “ferma” prudenza geopolitica e geoeconomica rispetto a questo delicato argomento.
Certo è che una valutazione attenta e previdente inizia a suggerire ad alcune compagnie di navigazione di spostare il percorso e di tornare al passato circumnavigando l’Africa attraverso il Capo di Buona Speranza, puntando quindi le lancette della storia a prima dell’apertura del Canale di Suez, decisione che determina un aumento dei tempi di consegna e dei costi di trasporto e che se protratta sul lungo periodo potrebbe generare difficoltà nel traffico commerciale tra Asia ed Europa. È il momento giusto, insomma, per ripensare la distribuzione delle catene di valore globali, iniziando dal trasporto delle merci via mare.