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Taiwan, la difesa della democrazia e noi. L’editoriale di Edward Lucas

Di Edward Lucas

Con il crescere delle preoccupazioni americane per la sicurezza nell’Indo-Pacifico, è ancora più importante che i Paesi europei dimostrino ai loro sostenitori oltreoceano di non essere dei parassiti della sicurezza. Scrive Edward Lucas, non-resident senior fellow del Center for European Policy Analysis

La Cina continentale è più di dieci volte più grande di Taiwan in termini economici e nettamente superiore in termini militari. Ma non è riuscita a impedire che 23 milioni di cittadini della democrazia insulare autogovernata decidessero di eleggere Lai Ching-te del Partito progressista democratico (DPP) come presidente. Questo fa ben sperare per le molte altre consultazioni elettorali che si terranno quest’anno. Chiunque pensi di provare a minare la democrazia farebbe bene a trarre la conclusione che tali sforzi si ritorcono facilmente contro.

Il risultato sottolinea anche la differenza tra democrazia e dittatura. Nessuno sapeva chi avrebbe vinto le elezioni di Taiwan. Infatti, il DPP non ha ottenuto la maggioranza in parlamento, evidenziando la complessità della democrazia. Tutti sanno chi vincerà le elezioni russe di quest’anno. Dubito che chi sta leggendo questo articolo sappia anche quando ci saranno le prossime “elezioni” (non è la parola giusta) per la fasulla assemblea legislativa della Cina continentale, il Congresso Nazionale del Popolo (2027 o 2028). In ogni caso, non importa.

I Paesi che non hanno il coraggio di difendere Taiwan dall’aggressione delle autorità continentali avrebbero potuto preferire l’elezione di una leadership disposta a “normalizzare” le relazioni con il partito-stato comunista. Ma il popolo taiwanese ha dimostrato di volere libertà e uno Stato di fatto. Sono pronti a fronteggiare una raffica di minacce da parte di Pechino, così come hanno resistito a una bufera di malintenzionati durante la campagna elettorale. (Le autorità dicono che stanno indagando su centinaia di casi di disinformazione e corruzione).

Ora si tratta di capire come reagirà il resto del mondo. Il dipartimento di Stato americano si è congratulato con il vincitore chiamandolo per nome, cosa che Germania e Francia, così come la Commissione europea, non hanno avuto il coraggio di fare. Dalla Lituania, il parlamentare Matas Maldeikis punta a essere tra i primi politici stranieri a congratularsi di persona con il presidente Lai, dietro di poco al giapponese Kei Furuya.

Ciò lascia ampio spazio all’azione di altri Paesi. Celebrare e riconoscere la democrazia di Taiwan non solo solleva gli animi, ma invia anche segnali importanti a Washington. Con il crescere delle preoccupazioni americane per la sicurezza nell’Indo-Pacifico, è ancora più importante che i Paesi europei dimostrino ai loro sostenitori oltreoceano di non essere dei parassiti della sicurezza.

I recenti avvenimenti nel Mar Rosso sottolineano questo punto con urgenza. Sarà sempre più difficile spiegare agli elettori americani che i soldi delle loro tasse vanno a proteggere la libertà di navigazione in rotte commerciali lontane i cui beneficiari si trovano per lo più altrove. Troppi Paesi europei preferiscono fare da spettatori piuttosto che condividere i rischi e i costi legati alla protezione della propria libertà e prosperità.

La maggior parte dei Paesi europei non ha la capacità navale e militare necessaria per colpire i ribelli Houthi in risposta ai loro attacchi con droni e missili alle navi nel Mar Rosso. Ma ogni Paese, per quanto piccolo, può fare la sua parte per rompere il tabù artificiale della Cina continentale sui contatti diplomatici e politici con Taiwan.

È vero che tali iniziative suscitano sempre una reazione scomposta da parte delle autorità di Pechino. La Cina ha cancellato la Lituania dal suo registro del commercio estero come punizione per l’apertura di un ufficio “taiwanese” a Vilnius, bloccando le esportazioni lituane per un po’ di tempo. Ma più sono i Paesi che adottano simili iniziative, più diventa difficile per il Partito-Stato cinese punirli.

Un problema più grande è l’incapacità delle autorità taiwanesi di trasformare le mosse simboliche dei loro amici in realtà pratiche. Lo sforzo della Lituania a sostegno di Taiwan ha fatto impennare le esportazioni di cioccolato, ma si è rivelato deludente, almeno inizialmente, in termini di scambi commerciali e investimenti. Altri Paesi se ne sono accorti e si sono tirati indietro. Le nuove autorità taiwanesi hanno molte opportunità di far coincidere maggiormente i loro sforzi economici e diplomatici.

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