Papa Francesco, nel suo intervento al corpo diplomatico, ha indicato una direzione sulla geopolitica e ha posto un’evidente sollecitazione alla coerenza ai cattolici che possono riorganizzarsi in politica ma sono chiamati non a formule politiciste e geografiche o a spauracchi triti come il populismo ma ad una visione, ad una strategia, ad un’autonomia. La riflessione di Giancarlo Chiapello, segreteria nazionale Popolari/Italia Popolare
L’intervento di Papa Francesco al corpo diplomatico di inizio 2024 è un discorso che non pare opportuno lasciare passare per la sua rilevanza, in un tempo di dispute in cui, però, lo stile sinodale permette un sano protagonismo in particolare alle chiese della periferia della cattolicità, soprattutto quelle più giovani e quindi meno piegate dalle colonizzazioni ideologiche del presente e del passato. Tale discorso poi va letto anche insieme alle parole, sempre parche in ossequio alla virtù della prudenza, del segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, dette alla conferenza “La Santa Sede e gli scenari di pace” all’Accademia dei Lincei di Roma in cui ha ricordato come “il Papa continua a ripetere i suoi appelli, se è vero che c’è il principio gutta cavat lapidem, speriamo che questi appelli facciano breccia”.
Questa dimensione geopolitica è tornata fondamentale anche per la politica italiana spingendo le diverse identità politiche o comunque le strategie politico-elettorali dei diversi attori, partiti o leader, a ritrovarla o a forgiarla o ad accettarla: anche il dibattito sulla presenza dei cattolici, o meglio, sulla sua distruzione e conseguenti diaspora e irrilevanza non può prescindere da essa se non vuole essere un mero rimestare tra nostalgie e fondi di magazzino in cerca degli ultimi scaffali.
Inoltre una visione geopolitica presuppone un’autonomia triplice, di analisi, valutazione ed azione, esattamente come insegna tutta la tradizione politica popolare e democratico cristiana che mai, fino ad oggi, è stata indifferente alla linea seguita dalla Santa Sede, non per confessionalismo bensì per ispirazione (e anche per la costruzione dell’originale ruolo italiano sullo scacchiere internazionale oggi assai appannato a causa della sedicente e fallita seconda repubblica fatta di leaderismi inginocchiati e pluralismi culturali senza culture).
Il Pontefice ha posto al centro del suo discorso la parola pace: partendo dal suo annuncio nella notte della nascita del Signore e dal saluto del Risorto, ricorda che “è compito della Santa Sede, in seno alla comunità internazionale, essere voce profetica e richiamo della coscienza” e rammenta, citando Papa Pio XII, quel rinnovamento profondo per una nuova era, dopo la seconda guerra mondiale, che rischia di essersi esaurito in mezzo alla “terza guerra mondiale a pezzi”.
Tocca le questioni, con idee chiare, di tutti i conflitti che dilaniano il mondo, a partire da quello israelo-paalestinese (“due Stati, uno israeliano e uno palestinese, come pure di uno statuto speciale internazionalmente garantito per la Città di Gerusalemme”) allargando lo sguardo all’intero Medio Oriente, all’emergenza umanitaria che colpisce i Rohingya in Myanmar, alla guerra su larga scala della Federazione Russa contro l’Ucraina, alla pericolosa tensione tra Armenia e Azerbaigian.
Non dimentica l’Africa con le crisi umanitarie in vari paesi sub-sahariani a causa di terrorismo, problemi socio-politici, instabilità, violenze, sollecita l’applicazione degli accordi di Pretoria che hanno messo fine ai combattimenti in Tigray e soluzioni pacifiche per tutta l’area del Corno d’Africa, toccando il dramma del Sudan, gli sfollati in Camerun, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Affronta le tensioni tra Venezuela e Guyana e la compromissione dell’armonia sociale e democratica del Perù, la crisi in Nicaragua con dolorose conseguenze in particolare per la Chiesa Cattolica: “dietro questo quadro… senza pretese di esaustività, si trova un mondo sempre più lacerato, ma soprattutto si trovano milioni di persone – uomini, donne, padri, madri, bambini – i cui volti ci sono per lo più sconosciuti e che spesso dimentichiamo”.
Parla anche del problema di una terribile enorme disponibilità di armi e degli arsenali nucleari e invita a individuare e combattere le cause delle guerre, innanzitutto la fame, pur con zone della Terra con grandi sprechi alimentari, lo sfruttamento delle risorse narturali che arrichisce pochi, lo sfruttamento connesso delle persone, le catastrofi naturali e ambientali, in particolare quelle dovute all’azione o all’incuria dell’uomo, l’urgenza della cura del Creato che è intimamente connessa con la pace: tutte contribuiscono a spingere migliaia di persone ad abbandonare la propria terra in cerca di un futuro di pace e sicurezza rischiando la vita.
“Dimentichiamo facilmente che abbiamo davanti persone con volti e nomi e tralasciamo la vocazione propria del Mare Nostrum, che non è quella di essere una tomba ma un luogo di incontro e di arricchimento reciproco fra persone, popoli e culture. Ciò non toglie che l’immigrazione debba essere regolamentata per accogliere, promuovere, accompagnare e integrare i migranti nel rispetto della cultura, della sensibilità e della sicurezza delle popolazioni che si fanno carico dell’accoglienza e dell’integrazione. D’altra parte occorre pure richiamare il diritto di poter rimanere nella propria Patria e la conseguente necessità di creare le condizioni affinché esso possa effettivamente esercitarsi”.
Tocca poi un punto non scindibile dagli altri per una visione sociale complessiva e autenticamente cristiana – che supera l’indugiare nella frattura scandalosa tra cattolici del sociale e cattolici della morale, tra progressisti a cui sono succubi i cattolicisti democratici, pianta potente e clericale ma sterile e i conservatori al cui servizio si sono messi i cristianisti, tendenzialmente protestantizzatisi o perfino a rischio di diventare complottisti da romanzi gialli, entrambi totalmente estranei alla cultura del popolarismo e ad una sana e risanante amicizia cristiana, di cui si sente il bisogno anche per una presenza politica di nuovo autentica, non costruibile su strappi e stress test o disquisizioni capziose fra “nuovo partito” o “partito nuovo” per giustificare centrismi senza idee – ovvero “la via della pace esige il rispetto della vita, di ogni vita umana, a partire da quella del nascituro nel grembo della madre, che non può essere soppressa, né diventare oggetto di mercimonio”.
In quest’ottica parla della deprecabile pratica della maternità surrogata per cui serve un impegno della Comunità internazionale per proibirla evidenziando che “in ogni momento della sua esistenza, la vita umana dev’essere preservata e tutelata, mentre constato con rammarico, specialmente in Occidente, il persistente diffondersi di una cultura della morte che, in nome di una finta pietà, scarta bambini, anziani, malati”.
È fondamentale per la pace il richiamo al rispetto dei diritti umani, “secondo quella semplice ma chiara formulazione contenuta nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani … Si tratta di principi razionalmente evidenti e comunemente accettati.
Purtroppo i tentativi compiuti negli ultimi decenni di introdurre nuovi diritti, non pienamente consistenti rispetto a quelli originariamente definiti e non sempre accettabili, hanno dato adito a colonizzazioni ideologiche, tra le quali ha un ruolo centrale la teoria del gender, che è pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali. Tali colonizzazioni ideologiche provocano ferite e divisioni tra gli Stati, anziché favorire l’edificazione della pace”.
In ossequio alla Dottrina Sociale della Chiesa, alla linea coerente ed evangelica della Santa Sede da sempre, del magistero dei suoi predecessori, Papa Francesco indica ancora una volta una direzione e pone una evidente sollecitazione alla coerenza ai cattolici che possono riorganizzarsi in politica ma sono chiamati non a formule politiciste e geografiche (moderatismo, riformismo, politica di centro, ecc…) o a spauracchi triti come il populismo (a cui a destra e sinistra hanno parimenti guardato e ceduto) ma ad una visione, ad una strategia, ad una autonomia, e “al confronto delle mostruose utopie che abusando del sacro nome di umanità, minacciano di sovvertire dai loro fondamenti ogni umano consorzio, ogni civiltà, ogni giustizia, ogni religione, dover noi sommamente apprezzare il sentir religioso e morale della nazione nostra, che ci protegge da traviamenti così funesti …” (Antonio Rosmini, Il comunismo ed il socialismo). Parafrasando Enrico VI Re di Francia, partendo dalle posizioni ideologiche d’oltralpe e all’agitazione per le elezioni europee, “Parigi val bene l’incoerenza?”.