Anche se il voto europeo non è mai stato sovrapponibile a quello nazionale, tuttavia assume un rilievo psicologico e politico decisivo sul piano della contesa italiana. Tra Schlein e Conte non sembra scorgersi all’orizzonte una soluzione di coalizione. E la Lega è destinata a perdere. Mentre Meloni farà il pieno di voti. L’analisi di Pisicchio
Le Europee di giugno saranno il giro di boa di una legislatura e forse di un ciclo politico per le ragioni ansiogene di una politica dell’immediato e non per il significato d’indicatore dello stato d’animo attribuito al popolo votante.
Per chi non fosse troppo smemorato, infatti, basterebbe appena ricordare i clamorosi successi della Lega nel giro elettorale del 2019, il 34,26% seguito dall’8,79% delle politiche del 2022, o del Pd di Renzi che a Bruxelles prese nel 2014 il 40,81%, mentre alla Camera nel 2018 raccolse un misero 18,7%, senza dire della leader radicale Bonino che nel 1999 raccolse l’8,45% in Europa, sull’onda della della candidatura pop alla Presidenza della Repubblica, mentre alle politiche del 2001 superò di poco il 2% e non presenta neanche un seggio.
Una rassegna significativa di inattendibilità che servirebbe un po’ a togliere enfasi a quella specie di ordalia che sarà il voto di giugno anche per la politica interna- per quella europea, invece, sarà molto di più- e che condizionerà assai probabilmente anche la postura dei partiti in governo e all’opposizione.
Perché è chiaro che, per esempio, la Lega ha una strada parecchio in salita, partendo dall’inarrivabile 34,26% del 2019 e potrà solo sperare di perdere meno sicura che comunque perderà. Mentre, invece il partito della premier, piaccia o no, sarà destinato a vincere ineluttabilmente, visto che cinque anni fa valeva “solo” il 6,42% e oggi, invece, nessuno si meraviglierebbe di un 30% pieno.
È la natura stessa del voto europeo a dettare regole diverse da quelle a cui ci hanno abituato le consultazioni politiche a lista bloccata: in Europa l’elettore è più libero, può dare la preferenza al suo candidato e non si preoccupa dell’effetto domestico di un voto che tende a dare un assetto alla rappresentanza nazionale a Bruxelles.
Ma, anche se il voto europeo non è mai stato sovrapponibile a quello nazionale, tuttavia assume un rilievo psicologico e politico decisivo sul piano della contesa italiana. Si pensi, ad esempio alla forte dialettica nel “campo largo”dell’opposizione che ha i due epicentri Pd-M5S, dove si assiste alla “originale” competizione tra due soggetti politici che dovrebbero prepararsi ad essere sodali, almeno negli auspici della Schlein, e che invece continuano a massacrarsi con effetti perversi sul piano delle sottostanti amministrative, che vedono al voto 25 capoluoghi, 3800 comuni e cinque regioni.
Il caso Piemonte è esemplare: dopo un tempo infinito di trattative tra Pd e contiani, si registra ancora un nulla che ha fatto commentare amaramente dai nazareni che fino alle europee non ci sarà trippa per gatti nel rapporto con i pentastellati. Il che si comprende solo se si pensa all’indole competitiva impressa da Conte nel rapporto con gli “alleati”, guardando all’orizzonte europeo con la speranza di ottenere dal voto una legittimazione per la leadership dell’alleanza.
Trascurando, oltretutto, di considerare che la natura del voto di giugno non è quella più favorevole al Movimento che con i voti di preferenza non ci ha mai saputo fare. Dunque la leader del Pd, accreditata dei sondaggi più o meno come il Pd di Renzi al tempo delle sue dimissioni, rischia di trovarsi nella “sconfort zone” dell’isolamento.
Il punto è che il secondo soggetto della eventuale coalizione, il M5S, non offre le necessarie certezze di tenuta coalizionale, essendo passato dall’egemonia grillina, forte ed eterodiretta da una personalità estranea alla politica e dunque necessariamente tagliata fuori dal perseguire obiettivi di protagonismo personale nelle cariche pubbliche, all’egemonia contiana, del tutto intranea. Si metta, infine, nel cocktail l’allegra diaspora di re-new con tre pezzi di centro in ordine sparso e poi si mescoli lentamente, senza agitare. Signore e Signori ecco il vostro “Martini d’Europa”.