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Italia-Cina, serve selettività strategica. Le parole dell’amb. Ambrosetti

Nel rapporto, soprattutto commerciale, con il gigante asiatico “non dobbiamo né essere ottimisti né pessimisti a priori”, ha spiegato il capo missione a Pechino, invitando a non commettere più gli errori del passato. La ripresa dei contatti politico-istituzionali è sottolineata dal lavoro diplomatico per le visite di quest’anno di Mattarella e Meloni

“Dobbiamo avere consapevolezza” nel rapporto bilaterale con la Cina, ma anche del contesto internazionale, segnato dalla stabilizzazione strategica tra Stati Uniti e Cina, e del ruolo dell’Unione europea. A parlare è Massimo Ambrosetti, ambasciatore d’Italia in Cina, sottolineando l’importanza della selettività strategica, questione al centro del seminario odierno “Cina: selettività strategica per creare valore per le nostre imprese”, organizzato da Confindustria, Camera di commercio italiana in Cina e Deloitte.

Intervenendo in apertura dei lavori, il diplomatico ha ricordato la sua precedente esperienza in Cina. Erano gli anni Novanta, un fase di “entusiasmo” per il commercio, ma “privo di selettività strategica”. Ovvero, di ciò che serve oggi. Ambrosetti ha evidenziato l’importanza di non commettere più gli “errori” del passato ma anche di “non riscoprire la Cina ogni cinque anni” dimenticando la presenza storica e i risultati del sistema Italia in quel Paese.

Ha citato il partenariato strategico globale, lanciato nel 2004 dall’allora presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e dall’allora primo ministro cinese Wen Jiabao. Non ha citato esplicitamente il memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, il cui mancato rinnovo ha spinto Italia e Cina a puntare sul partenariato strategico globale. Ma ha spiegato che il “punto di svolta” nelle relazioni bilaterali è stata la visita a Pechino di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, che con Wang Yi, ministro degli Esteri cinese oltre che capo dell’ufficio affari esteri del Partito comunista cinese, ha gettato le basi per la ripresa dei contatti politico-istituzionali, fondamentale per far ripartire i rapporti economici e commerciali.

In questo contesto, “una proiezione di sistema con visione di lungo periodo e selettività strategica” ha permesso di raggiungere “l’obiettivo” di un “contesto di relazione bilaterale positivo, che può far conto su un rapporto consolidato”, ha spiegato l’ambasciatore Ambrosetti. Per questo, “non dobbiamo né essere ottimisti né pessimisti a priori”, ha spiegato il diplomatico invitando a non commettere più gli errori del passato. Non bisogna essere naïf con la Cina, si potrebbe riassumere il suo pensiero prendendo in prestito un’espressione molto utilizzata nel mondo statunitense quando si parla dei rapporti tra le due superpotenze.

Quest’anno, per celebrare i 20 anni del partenariato strategico e i 700 anni dalla morte di Marco Polo, l’Italia vedrà la sua “proiezione istituzionale” in Cina “al massimo livello”, ha spiegato ancora il diplomatico. Infatti, si sta lavorando alle visite di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, e Sergio Mattarella, presidente della Repubblica. Compito della diplomazia italiana sarà trovare il giusto momento per il viaggio di Meloni considerati la presidenza italiana del G7, con il vertice dei leader a giugno in Puglia, e il prossimo summit Nato che si terrà a luglio a Washington per festeggiare i 75 anni dalla nascita dell’alleanza atlantica.

Alle visite istituzionali ha fatto riferimento implicito anche Jia Guide, ambasciatore cinese in Italia, in un recente intervento sul Messaggero, in cui ha definito quello attuale come “il momento giusto per portare avanti lo ‘spirito della Via della Seta’”.

Transizione verde e “multipolarismo” sono i due temi che il diplomatico ha voluto evidenziare nel suo editoriale che, però, si scontrano con altrettante realtà: i rischi delle dipendenze strategiche (tra i mantra del governo Meloni c’è quello secondo cui non dobbiamo passare dalla dipendenza energetica dalla Russia a quella tecnologica dalla Cina) e le ambiguità di Mosca verso l’aggressione russa dell’Ucraina.

Non mancano difficoltà anche per quanto riguarda il commercio. L’Italia non può fare a meno del mercato cinese, dove peraltro sta facendo: i numeri dell’export a 17,7 miliardi di euro, sostenuto dalla crescita del settore farmaceutico, lo testimoniano. Ma per la prima volta il gigante asiatico è entrato in sofferenza dal punto di vista strutturale, come ha ricordato l’ambasciatore Ambrosetti. “Ciò riguarda il suo modello di crescita”, ha osservato. Il prodotto interno lordo è cresciuto del 5,3% al ritmo più lento da trent’anni, la demografia continua a calare e le misure per l’immobiliare e gli investimenti non decollano. Inoltre, come emerso dal recente vertice tra Unione europea e Cina, ci sono problematiche, condivise anche dall’Italia, che riguardano l’accesso al mercato, il riequilibrio interscambio e protezione degli investimenti e della proprietà intellettuale.

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