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Una moratoria sulla pena di morte. La richiesta dell’Italia alla Cina

Alle Nazioni Unite di Ginevra, la Cina elogia il suo modello, respinge le critiche e incassa il sostegno della Russia e di alcune nazioni del Global South. Dall’Italia la raccomandazione al rispetto degli standard internazionali 

Alle Nazioni Unite l’Italia ha invitato la Cina a una moratoria sulla pena di morte, impedire la discriminazione dei gruppi religiosi e annunciare gli sforzi “per creare un clima in cui giornalisti, attivisti per i diritti umani e organizzazioni non governative possano operare liberamente nel rispetto degli standard internazionali”. A pronunciare l’appello è stato Vincenzo Grassi, rappresentante permanente d’Italia presso le Nazioni Unite e le Organizzazioni Internazionali a Ginevra, in Svizzera, in occasione del dibattito odierno sulla Cina nell’ambito della Revisione periodica universale promossa sulle situazioni dei singoli Paesi dal Consiglio dei diritti umani.

Oltre 160 Paesi iscritti a parlare. Quarantacinque secondi ciascuno per esprimere le proprie “raccomandazioni” alla Cina sul rispetto dei diritti umani. Appena il tempo di parlare chi della situazione a Hong Kong dopo l’entrata in vigore della Legge sulla sicurezza nazionale, chi della repressione degli uiguri nello Xinjiang, chi della situazione in Tibet, chi della pena di morte a cui le autorità cinesi fanno sempre più spesso ricorso. O chi, come la Russia, alleata di ferro della Cina, ha lodato gli “impressionanti progressi” di Pechino “nello sviluppo economico-sociale” e suggerito alle autorità cinesi di “migliorare la capacità dei cittadini di utilizzare il cinese standard parlato e scritto nello Xinjiang”.

Ma prima è toccato alla Cina, che per bocca dell’ambasciatore Chen Xu, ha parlato spiegato che “il miglioramento delle condizioni di vita coincide con i diritti umani” e che “i dati di fatto dimostrano che la Cina oggi soddisfa le aspirazioni della sua popolazione”. Le critiche? “Menzogne”. Benvenute, invece, le parole di apprezzamento da parte di nazioni di Asia, Africa e America Latina sulla lotta alla povertà, che però è ben altra cosa dai diritti umani. “Del resto proprio sulla propria immagine di paladina del Global South la Repubblica popolare cinese di Xi Jinping punta da tempo per nascondere la repressione sempre più dura di ogni forma di dissenso interno”, ha osservato Asianews.

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