Una certa narrazione ha raccontato il nostro lavoro comunicativo come fossimo una sorta di spectre, una batteria di spin doctor riuniti ad Arcore al lavoro per ingannare gli elettori. In realtà noi lavoravamo come in una bottega rinascimentale. A 30 anni dalla nascita di Forza Italia, il ricordo di Antonio Palmieri, ora presidente della Fondazione Pensiero Solido e già responsabile nazionale della comunicazione di FI
Non occorre essere berlusconiani per riconoscere che la comunicazione politica contemporanea nasce con Berlusconi: la personalizzazione, la disintermediazione e la ricerca del rapporto diretto con gli elettori, l’uso comunicativo dei sondaggi… Il 1994 è l’anno zero della comunicazione politica in Italia. Da questo punto di vista, oggi possiamo dire – senza enfasi, perché è una evidenza – che siamo entrati nel 30esimo anno dell’era SB.
Se è vero che con Forza Italia la comunicazione diventa politica e la politica diventa comunicazione, tuttavia, essendo Berlusconi un uomo “attaccato alla realtà”, la prima cosa che ci ha insegnato è che la realtà viene prima della comunicazione e di conseguenza ci sono una serie di fattori che predeterminano come comunicare.
Nel 1994 i principali erano questi:
1. La legge elettorale determina sempre il modo in cui si gioca la partita delle elezioni. La nuova legge elettorale dell’epoca, il Mattarellum, imponeva la creazione della coalizione dei “moderati” alternativa a quella della sinistra, altrimenti con solo un terzo dei voti popolari la sinistra avrebbe preso la stragrande maggioranza dei collegi uninominali, che eleggevano 3/4 dei parlamentari.
2. La sostanziale dissoluzione del pentapartito ad opera di Mani Pulite (nelle elezioni del 1992 le cinque forze messe insieme avevano superato il 50% dei voti) lasciava una gran parte di elettori orfani. Un “mercato” alla ricerca di un “prodotto”.
3. Il successo della Lega nel 1992 e poi Mani Pulite avevano evidenziato l’insofferenza per le vecchie forme della politica e della sua modalità di comunicare, specialmente all’interno dell’elettorato moderato.
4. L’elezione diretta dei sindaci, iniziata a giugno 1993 con le elezioni per il comune di Milano, inaugurava il rapporto diretto tra candidato apicale ed elettori. Questo favoriva l’introduzione dell’elezione “diretta” del Presidente del consiglio che caratterizzò da subito il modo di fare campagna elettorale di Berlusconi.
Su questi dati di realtà si innesca la rivoluzione della comunicazione politica berlusconiana, che ha investito ogni aspetto.
1. Il linguaggio. Berlusconi usa un linguaggio chiaro, semplice, diretto e concreto. Una assoluta novità dopo decenni di politichese.
2. La forza del leader. La vita di Berlusconi, “incarna” le cose che diceva. Una differenza fondamentale rispetto a chi aveva fatto nella vita “solo” politica.
3. Il programma. Non un programma fumoso, ma uno schema problema/soluzione, all’interno dei quali sceglievamo pochi punti concreti, immediatamente comprensibili a tutti e riguardanti la maggioranza degli elettori, sui quali focalizzare la campagna.
4. Nome e logo. No alla parola partito, per rappresentare la discontinuità, la rottura degli schemi della vecchia politica.
5. La “scenografia” degli eventi pubblici. Niente nomenclatura schierata sul palco, solo il leader che parlava al suo popolo.
L’elenco potrebbe continuare a lungo. Sono punti utili da ricordare in questa data simbolica, assieme a un’ultima testimonianza. Una certa narrazione, alimentata anche dalle fiction, ha raccontato il nostro lavoro comunicativo come fossimo una sorta di spectre, una batteria di spin doctor riuniti ad Arcore al lavoro per ingannare gli elettori. In realtà noi lavoravamo come in una bottega rinascimentale. Ci riunivamo nella sala da pranzo di Arcore, c’era il capo bottega (il padrone di casa) che era anche un grande comunicatore, e insieme, con un manipolo di artigiani della comunicazione, si costruivano le campagne elettorali. Con la massima libertà di dire la propria, senza nessun atteggiamento padronale da parte di Berlusconi, senza particolari sotterfugi comunicativi o tecniche manipolatorie.
Sorrido ancora pensando alla miopia (e mi rattrista la scarsa considerazione della intelligenza degli italiani) con cui il governo D’Alema nel 2000 per legge impedì di usare gli spot televisivi e radiofonici e di comunicare i dati dei sondaggi negli ultimi quindici giorni prima del voto. Da quel momento fummo obbligati a scatenare una fantasia comunicativa che andò dalla Nave Azzurra a all’uso continuativo dei manifesti 6×3, dal direct marketing alle presentazioni a tappeto dei libri di Silvio Berlusconi, dal concorso dei manifesti taroccati online a Forzasilvio.it. I nostri spot del 1999 e di inizio 2000 in prevalenza rappresentavano un signore di 65 anni seduto a una scrivania che raccontava parlando per 30 o 45 secondi singoli punti di programma. Come questo potesse ammaliare le “masse popolari” rimane per me un mistero. Cosa impedisse alla sinistra di fare altrettanto, confrontandosi sul piano della comunicazione, anche. E non era solo una questione economica.
Tutto questo ora appartiene alla storia. Il 26 gennaio di 30 anni fa per me veniva dopo quattro mesi di preparazione, trascorsi lavorando nella prima sede nazionale di Forza Italia in Viale Isonzo a Milano e in qualche incontro ad Arcore. Ero arrivato lì a ai primi di ottobre, giovane quadro di R.T.I. (società tv del gruppo Fininvest) perché avevo accettato di partecipare al progetto che mi aveva illustrato Gianni Pilo: costituire 2.000 club Forza Italia per sostenere Mario Segni candidato premier (!) e impedire la sicura vittoria della sinistra. In quei mesi si apriva una lunga stagione della mia vita professionale, politica e umana, durata fino al 13 ottobre 2022.
Ho imparato molto lavorando con il nostro presidente e la mia gratitudine per lui è per sempre. Ho imparato e praticato la comunicazione fatta bene, la buona leadership, l’innovazione digitale e sociale e ho potuto servire l’Italia per cinque legislature.
Tutte esperienze e competenze che ora ho riversato nella mia Fondazione Pensiero Solido. Perché la vita è cumulativa. Tutto si tiene, anche nel cambiamento.