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La deterrenza che serve agli Usa in Medio Oriente. L’analisi di Vicenzino

Di Marco Vicenzino

Per invertire la rotta sarà necessaria una strategia più coraggiosa e a lungo termine, accompagnata da un’azione più decisa che invii un messaggio chiaro sia agli amici sia ai nemici. L’analisi di Marco Vicenzino

Gli Stati Uniti sono impegnati da diversi anni in un conflitto regionale a bassa intensità in Medio Oriente, che si è seriamente intensificato dopo l’attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre 2023. Inoltre, le iniziative diplomatiche del presidente Joe Biden nei confronti dell’Iran, punto cardine della sua politica estera, non hanno ottenuto alcun risultato concreto a lungo termine. La guerra ombra tra gli Stati Uniti e i loro partner e l’asse di resistenza iraniano è stata segnata da un pericoloso gioco di manovre e scontri militari che si sta ora degenerando in un circolo vizioso verso il basso. La situazione in Medio Oriente è così volatile che una guerra regionale su larga scala potrebbe scoppiare in qualsiasi momento. Le ripercussioni globali sarebbero enormi, e nessuno sfuggirebbe all’impatto. L’uccisione di tre soldati statunitensi con un drone in una base americana in Giordania rischia di essere un momento decisivo nel conflitto in corso. La responsabilità dell’attacco è stata rivendicata dalla Resistenza islamica in Iraq, un termine usato per descrivere una coalizione di milizie sostenute dall’Iran che si oppongono al sostegno americano a Israele nella guerra di Gaza e alla più ampia influenza e presenza degli Stati Uniti nella regione, in particolare in Iraq e Siria.

In un anno cruciale per le elezioni, il presidente Joe Biden è sottoposto a forti pressioni che lo spingono ad agire con forza e ad andare oltre le sue solite sporadiche punture di spillo. Un recente sondaggio Gallup mostra che il gradimento di Biden per la campagna presidenziale del 2024 è il più basso per un presidente al terzo anno dai tempi di Jimmy Carter, che aveva svolto un solo mandato. È probabile che Biden risponda con una serie di azioni, fra cui numerosi attacchi a una gamma molto più ampia di obiettivi, attacchi informatici e operazioni segrete per un periodo di tempo prolungato. Nonostante gli appelli a colpire direttamente l’Iran, al momento è improbabile che ciò avvenga, ma rimane un’opzione se ritenuta necessaria. La conclusione è che la posizione militare reattiva del Presidente Biden in Medio Oriente finora ha ulteriormente destabilizzato una regione già pericolosamente instabile. La sua riluttanza a intraprendere un’azione proporzionale più decisa e l’incapacità di creare un livello più determinato di deterrenza statunitense in Medio Oriente, in particolare dopo il 7 ottobre, hanno portato a gravi conseguenze negative per la sicurezza regionale e non solo.

In primo luogo, la posizione militare esitante di Biden ha contribuito alla notevole perdita di credibilità e di influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente, con il risultato di uno status quo molto più fragile. La “shuttle diplomacy” regionale guidata dal Segretario di Stato americano Antony Blinken non darà i suoi frutti senza misure di difesa più incisive. In definitiva, la debolezza di Biden in materia di difesa ha minato la sua diplomazia. In Medio Oriente, Biden è visto da amici e nemici come un uomo con poco bastone e poca carota. Inoltre, il tentennamento di Biden nell’uso della forza ha creato un pericoloso vuoto di sicurezza nella regione che ha incoraggiato l’Iran e il suo asse di resistenza a impegnarsi in ostilità più audaci e provocatorie. Dal 7 ottobre 2023, hanno compiuto più di 100 attacchi contro le truppe statunitensi in Iraq e Siria. Inoltre, la riluttanza regionale di Biden sta inviando un messaggio sbagliato agli attori canaglia a livello globale, in particolare a quelli che risiedono in importanti località strategiche che hanno un impatto sul commercio e sulla sicurezza internazionali. Le conseguenze a lungo termine saranno sconvolgenti senza un serio cambiamento di rotta.

Gli Houthi nello Yemen e altri movimenti di “resistenza” simili nella regione continuano a sfruttare la reticenza di Biden a loro vantaggio. Nonostante gli sforzi di Biden per adottare misure di sicurezza marittima collettiva nel Mar Rosso contro gli attacchi degli Houthi, i suoi sforzi rimangono reattivi e in gran parte percepiti come “troppo poco, troppo tardi”. La situazione si complica ulteriormente, poiché queste entità che attualmente puntano a sconvolgere il Medio Oriente – come Hamas in Palestina, gli Houthi nello Yemen e la Resistenza islamica in Iraq – operano tecnicamente in modo indipendente come attori non statali. Tuttavia, fanno parte dell’Asse della Resistenza, una coalizione informale di organizzazioni anti-occidentali e anti-israeliane sostenute dall’Iran.

Nel complesso, gli Stati Uniti devono andare oltre la deriva strategica di Biden, iniziare a prendere l’iniziativa e plasmare sempre più gli eventi nella regione concentrandosi sui propri interessi fondamentali. Per invertire la rotta sarà necessaria una strategia più coraggiosa e a lungo termine, accompagnata da un’azione più decisa che invii un messaggio chiaro sia agli amici sia ai nemici. Tuttavia, le aspettative devono essere tenute sotto controllo. La politica estera degli Stati Uniti non può fare o disfare il Medio Oriente, né dovrebbe provarci. La storia degli ultimi decenni fornisce ampie lezioni. In definitiva, saranno le forze e le dinamiche interne alla regione a determinarne il futuro. Le forze esterne, comunque, giocheranno inevitabilmente un ruolo nel plasmare questo corso e gli Stati Uniti devono giocare il loro ruolo in modo più efficace. Fino ad allora, l’amministrazione Biden continuerà a rimanere indietro e vulnerabile alla moltitudine di rischi che minacciano la stabilità regionale e la sicurezza globale.



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