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Il modello Termoli può rilanciare l’automotive europeo. Ecco come

Di Antonello Barone

L’investimento di Acc a Termoli se saprà coniugare l’aspetto industriale a quello della ricerca e dell’innovazione tecnologica potrà divenire il nuovo modello grazie al quale governo e azienda potranno contribuire insieme alla realizzazione di un futuro sostenibile dell’Automotive europeo

Lo stabilimento di Termoli non è stato citato tra quelli a rischio ridimensionamento o chiusura nella polemica fra l’Ad di Stellantis Carlos Tavares e il ministro delle Imprese e il Made in Italy Adolfo Urso. Semplicemente perché Stellantis ha già deciso da tempo di chiudere la produzione di motori endotermici e di cambi che oggi vengono realizzati nel sito produttivo in Molise. Eppure la realtà industriale di Termoli è comunque salva e con essa i livelli occupazionali del territorio. Un nuovo soggetto imprenditoriale, Acc – Automotive Cells Company la joint venture composta dalla stessa Stellantis, da Mercedes-Benz e da TotalEnergies, ha infatti deciso di realizzare nel medesimo sito la prima Gigafactory italiana per la produzione di batterie innovative e sostenibili per la mobilità del futuro. Batterie che saranno inviate ai diversi impianti di assemblaggio dei due gruppi automobilistici europei, come rimarcato dallo stesso Tavares nella conferenza stampa tenuta ad Atessa in Abruzzo in gennaio. Qui, infatti, si trova il più grande e importante stabilimento di assemblaggio per furgoni e mezzi commerciali europeo del gruppo automobilistico italo-francese, che proprio dalla vicinanza con la futura Gigafactory molisana potrà guardare con ottimismo al proprio futuro.

Del resto a inizio anno le parole rilasciate dal nuovo soggetto imprenditoriale erano state nette: “Quello di Termoli è un investimento strategico per Acc, in quanto ci consentirà di soddisfare la crescente domanda di batterie ad alte prestazioni e sostenibili per i veicoli elettrici. Il progetto creerà inoltre significativi benefici economici e sociali per la regione Molise e per l’Italia nel suo complesso, rappresentando oltre 2 miliardi di euro di investimenti e creando almeno 1.800 posti di lavoro entro il 2030”.

Il settore dell’automotive è in piena evoluzione. Cambiano le conformazioni dei soggetti imprenditoriali con i quali i governi nazionali devono interloquire. Sempre meno campioni nazionali e sempre più agglomerati economico-industriali senza un chiaro interesse di bandiera. Questa dinamica è necessaria per poter consentire all’industria europea di competere in un mercato globale che vede emergere con forza nuovi protagonisti. La transizione dall’utilizzo delle fonti fossili verso la mobilità elettrica è un passaggio che l’industria mondiale ha deciso di compiere. La Cina è in forte vantaggio sia rispetto alla tecnologia (maggiora autonomia e performance delle batterie di ultima generazione), sia rispetto all’approvvigionamento delle materie prime presenti nelle terre rare necessarie per la realizzazione delle stesse batterie e non in ultimo per la diffusione capillare dei sistemi innovativi di ricarica. L’Europa ha scelto di perseguire la via elettrica anche rispetto a valutazioni di natura ambientale. Il processo è stato avviato e la ridefinizione del settore Automotive su scala europea e non più nazionale difficilmente potrà essere bloccato, almeno di non voler correre il rischio di esserne esclusi.

Quello che i governi nazionali possono fare in questa fase è certamente cercare di difendere gli stabilimenti presenti sul territorio e con essi la forza lavoro impiegata, ma è forse più utile cercare di accompagnare la rincorsa tecnologica ai leader di mercato attraverso investimenti coordinati in ricerca e sviluppo. Un coordinamento europeo e non nazionale sul futuro tecnologico dell’automotive è indispensabile per evitare che le nuove realtà industriali di dimensione europea nel giro di pochi anni possano tornare ad avere una chiara rappresentanza di questo o quello Stato, non tanto per la forza economica del socio di riferimento, francese, tedesco o italiano che sia, ma quanto per la capacità di un singolo Stato in qualità di azionista di apportare un surplus di innovazione tecnologica tale da modificare gli assetti di potere interni.

Attenzione alla salvaguardia dei livelli occupazionali è fondamentale, ma in prospettiva potrà essere meglio garantita se in Italia ci sarà la presenza, come già avviene in Francia, di un centro di innovazione industriale per traguardare il futuro del settore. In tal senso il governo è in possesso di un progetto per la realizzazione proprio a Termoli di un hub tecnologico dell’automotive. Iniziativa presentata dall’allora FCA (gruppo Stellantis) insieme al Consorzio di sviluppo industriale della valle del Biferno, alla Regione Molise ad altri soggetti con Politecnico di Torino nel ruolo di capofila. Raccogliere il rinnovato interesse di Acc e dare nuovo impulso al progetto sarebbe un modo intelligente da parte delle istituzioni nazionali di creare quelle nuove condizioni di compartecipazione pubblico-privato nel settore indispensabili per poter avere ancora un ruolo nel mercato.

Del resto sul tema della mobilità sostenibile e dell’automotive del futuro ci sono ampi spazi di un potenziale dialogo fattivo tra istituzioni, accademia e imprese. Lo dimostra il ddl bipartisan presentato da senatori di FdI e Pd per l’istituzione della Capitale della Mobilità Sostenibile, che indica proprio Termoli come Capitale Zero. L’investimento di Acc a Termoli se saprà coniugare l’aspetto industriale a quello della ricerca e dell’innovazione tecnologica potrà divenire il nuovo modello grazie al quale governo e azienda potranno contribuire insieme alla realizzazione di un futuro sostenibile dell’Automotive europeo.

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