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L’Ue non fa abbastanza per limitare il 5G cinese

Solo dieci Stati membri hanno vietato o limitato i fornitori “ad alto rischio” come Huawei e Zte. Nessun progresso importante dopo il richiamo di giugno da parte della Commissione. E sta per arrivare il Digital Networks Act

Solo dieci Stati membri dell’Unione europea hanno vietato o limitato i fornitori di telecomunicazioni etichettati “ad alto rischio” per la loro infrastruttura di rete 5G, stando ai dati della Commissione europea a Euronews. Quasi tutti gli Stati membri hanno messo in atto un quadro normativo per limitare i fornitori cinesi come Huawei e Zte, ma solo pochi, come Svezia e Lettonia, li hanno effettivamente utilizzati: i numeri non mostrano grandi passi avanti rispetto all’estate scorsa, con grandi attori come la Germania che si sono limitati a suggerire agli operatori di telecomunicazioni di rimuovere tutti i componenti critici nelle loro reti principali 5G entro il 2026.

Sono passati ormai sei anni da quando Huawei e Zte hanno iniziato a dover fare i conti con posture dure da parte dei governi occidentali. Tra questi, Giappone, Stati Uniti e Unione europea hanno escluso questi produttori da gare d’appalto pubbliche e dall’installazione di reti di telecomunicazione, a causa di accuse di spionaggio e timori di legami con lo Stato cinese (sempre respinte da entrambi i colossi cinesi).

Nel 2020, la Commissione ha presentato una toolbox il 5G, che consente ai governi nazionali di mitigare i principali rischi di cybersicurezza diversificando i fornitori ed escludendo quelli ad alto rischio, tra cui Huawei e Zte. Lo scorso giugno la Commissione europea ha invitato gli Stati membri ad attuare tali norme “senza indugio”. La prossima settimana la Commissione pubblicherà il tanto atteso libro bianco sul Digital Networks Act per affrontare i potenziali problemi di finanziamento delle infrastrutture (inevitabilmente lo stop ad alcuni fornitori rallenta il processo). Tuttavia non è chiaro se il piano renderà obbligatorie le misure di sicurezza del 5G.

Nei giorni scorsi il Washington Post è tornato a occuparsi del 5G e della strategia americana nello scontro tecnologico con la Cina. L’amministrazione Biden ha continuato conto fatto dall’amministrazione Trump in termini di spinta verso l’Open Ran, tecnologia di interfacce aperte. L’amministrazione Biden ha stanziato più di 1,5 miliardi di dollari per cercare di convincere il mondo a utilizzare una tecnologia che potrebbe permettere alle aziende americane di rientrare nella corsa alle apparecchiature per le telecomunicazioni. Ma non manca scetticismo: alcuni la considerano una tecnologia non pienamente sviluppata, con tante complicazioni e troppi fornitori. Inoltre, in Europa ci sono timori per le quote di mercato della svedese Ericsson e della finlandese Nokia. A ottobre Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Canada e Giappone hanno annunciato la Global Coalition on Telecommunications a favore dell’Open Ran. Ma nonostante la forte attività diplomatica, pochi grandi operatori di telecomunicazioni in tutto il mondo si sono impegnati in acquisti importanti. La società di ricerca Dell’Oro Group stima che l’Open Ran rappresenterà solo il 7-10% del mercato globale per fatturato nel 2024, con una stima al rialzo del 30% entro il 2028.

“Qualche anno fa ci si chiedeva se saremmo mai stati in grado di avere reti aperte”, ha dichiarato Alan Davidson, assistente segretario al Commercio e amministratore della National Telecommunications and Information Administration. “Oggi la gente non si chiede più ‘se’, ma ‘quando’”, ha aggiunto. Ma nel mondo tecnologico “quando” è anche “se”.

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