Il rapporto tra Intelligenza Artificiale e sistema produttivo per il rilancio dell’economia italiana nel mercato globale. L’intervento di Piermario Tedeschi, fondatore e managing director dell’agenzia Digital Angels e adjunct professor Luiss Business School. “L’Italia si trova di fronte a una sfida cruciale: l’adozione dell’IA come strumento per il rilancio dell’economia e la creazione di nuove opportunità occupazionali, invece di considerarla una minaccia”
Ci interroghiamo sull’Intelligenza Artificiale dagli anni Cinquanta, da quando i computer erano più grandi ma meno intelligenti. Era il tempo in cui sembrava all’avanguardia che la tecnologia potesse eseguire per noi calcoli complessi e agevolare le nostre attività quotidiane. Poi la diffusione di internet, il deep learning e l’evoluzione dell’Intelligenza Artificiale hanno mostrato e confermato le infinite potenzialità della tecnologia.
Una recente analisi condotta dal Financial Times nel novembre del 2023 evidenzia una realtà economica preoccupante per l’Italia: il declino costante della produttività nazionale e il crescente divario rispetto agli Stati Uniti. Nel corso degli ultimi 30 anni, infatti, il Pil aggregato dei Paesi europei è sceso dal 90% di quello statunitense nel 2013 al 65% nel 2023, mentre il Pil pro-capite americano ha quasi raddoppiato quello europeo.
Tale disparità deriva dal fatto che i vantaggi della “prima rivoluzione tecnologica” – intesa come l’avvento del computer e la diffusione di internet – sono stati assorbiti nel sistema economico americano in modo più precoce e completo rispetto all’Europa, aumentando la produttività e la competitività di tutte le aziende, non solo nel settore digitale. E in Italia? La mancata opportunità di capitalizzare queste novità, ha aumentato il divario con le altre economie, creando quel digital gap a cui assistiamo oggi compromettendo, così, la nostra crescita economica.
Eppure già dieci anni fa era chiaro, come diceva Enrico Moretti nel libro La nuova geografia del lavoro, come ogni nuovo posto di lavoro nel settore digitale generi ulteriori cinque posti di lavoro cosiddetti “tradizionali”.
L’Italia, quindi, si trova di fronte a una sfida cruciale, l’adozione dell’IA come strumento per il rilancio dell’economia e la creazione di nuove opportunità occupazionali, invece di considerarla una minaccia per la perdita di posti di lavoro. Come dimostrano sia la letteratura accademica sia la pratica aziendale – le realtà imprenditoriali più capitalizzate al mondo hanno registrato significativi tassi di assunzione a fronte di un incremento della produttività – confermano che tale aumento porta a una crescita economica, a un riposizionamento dei lavoratori verso attività ad elevato valore aggiunto e ad ulteriori posti di lavoro. Un esempio tangibile è Digital Angels, che ha visto un miglioramento dei propri processi lavorativi grazie all’implementazione dell’IA nelle attività quotidiane.
L’Intelligenza Artificiale rappresenta, dunque, un’opportunità fondamentale per l’economia italiana, come ho evidenziato durante la mia Audizione – qui per poterla vedere – alla X Commissione della Camera dei Deputati sull’Indagine conoscitiva sull’intelligenza artificiale dove mi sono focalizzato principalmente su e aspetti: formazione e fondi del Pnrr.
Se da un lato osserviamo un’offerta formativa ampia e in costante crescita – quale ad esempio quella che offriamo all’Università Luiss di Roma, con il lancio di corsi di laurea sull’Intelligenza Artificiale e l’integrazione di elementi teorici e pratici in tutta l’offerta formativa – dall’altro si nota una significativa mancanza di incentivi per le aziende desiderose di investire nella formazione del proprio personale e nell’adozione di queste tecnologie nei propri processi produttivi.
Da qui, la mia proposta di destinare parte dei fondi del Pnrr alla formazione aziendale qualificata per le Pmi che offrirebbe un duplice incentivo: aumento di produttività e acquisizione di competenze come effetto diretto, incremento del Pil, crescita economica, Pil aggregato e creazione di nuovi posti di lavoro come effetto indiretto.
In molte Pmi, infatti, lo sviluppo e l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale sono già diventati parte dei processi lavorativi. Allora, perché temerla? Gli strumenti innovativi che in passato sembravano riservati a pochi esperti sono ora utilizzati ampiamente dalla popolazione generale: dai computer e i programmi di scrittura e fogli di calcolo degli anni ‘90, ad Internet e alle email degli anni 2000, fino ai social network, agli smartphone e alle relative app degli anni ‘10. Innovazioni e strumenti che inizialmente spaventavano ed erano appannaggio di pochi, oggi sono largamente diffusi tra tutta la popolazione lavorativa italiana e diventati imprescindibili. Nulla cambia con la nuova rivoluzione, destinata a diventare altrettanto accessibile. E, quindi, più che togliere, IA sarà in grado di colmare il divario occupazionale e fungere da ponte generazionale anche grazie alla formazione.
Gli incentivi per l’IA non dovrebbero, dunque, essere visti come un mezzo per agevolare gli operatori del mercato, ma come un sostegno alle imprese che più si impegnano in progetti innovativi, contribuendo, così, alla loro redditività e alla riqualificazione dei propri dipendenti.
Un approccio che potrebbe rappresentare il fondamento per un nuovo strumento di politica economica, che prepari il sistema territoriale ad affrontare la rivoluzione indotta dall’IA, contribuendo a potenziare il settore produttivo italiano, ricollocando l’Italia al centro delle trasformazioni rivoluzionarie industriali.