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La corsa all’oro verde? Cosa cambia con la scoperta dell’idrogeno nel sottosuolo

È in arrivo uno studio del Servizio geologico Usa che segnala l’esistenza di quantità massicce del gas nei giacimenti sotterranei di tutto il mondo, abbastanza per soddisfare il fabbisogno umano per secoli. Se estrazione e trasporto costano meno della produzione ex novo, siamo agli albori di una nuova industria. E c’è chi si è già lanciato

Secondo uno studio non ancora pubblicato del Servizio geologico degli Stati Uniti, ci sarebbero ben 5 mila miliardi di tonnellate di idrogeno sparse nei giacimenti sotterranei di tutto il mondo. La maggior parte è probabilmente inaccessibile, ha spiegato il geochimico e responsabile del rapporto Geoffrey Ellis presentando i risultati in anteprima a una conferenza dell’American Association for the Advancement of Science a Denver. Ma recuperarne anche solo una piccola parte “potrebbe comunque soddisfare tutta la domanda prevista – 500 milioni di tonnellate all’anno – per centinaia di anni”.

Si tratta di una scoperta potenzialmente rivoluzionaria. Fino a pochi anni fa gli scienziati credevano che l’idrogeno presente naturalmente nel sottosuolo, in prossimità della superficie, venisse distrutto da microbi o processi chimici. Ma come ha spiegato Alexis Templeton (Università del Colorado di Boulder) alla conferenza, i geologi ora ritengono che il gas si generi in quantità massicce quando i minerali ricchi di ferro reagiscono con l’acqua, in condizioni di temperatura e pressione elevate, sottraendo la molecola di ossigeno per via dell’ossidazione e liberando le due molecole di idrogeno.

Finora non si era cercato l’idrogeno nei posti giusti e con gli strumenti giusti, ha commentato Ellis. E c’è di più: tecnicamente si tratta di una sorgente di energia rinnovabile, perché l’idrogeno naturale si genera in continuazione, a differenza dei milioni di anni che richiede la formazione di petrolio e gas.

Lo sviluppo arriva in un momento quanto mai opportuno, e cioè agli albori di quella che molti ritengono possa essere l’era d’oro dell’idrogeno. Oltre ad essere importantissima per la produzione di fertilizzanti, questa molecola promette di sostituire a dovere gli idrocarburi in molti settori hard to abate, cioè dove è difficile abbattere le emissioni di CO2 e dove generalmente l’elettrificazione non basta. È il caso della produzione di acciaio, responsabile per circa il 10% delle emissioni globali di gas serra (la fonderia Nippon Steel ha da poco annunciato di aver ridotto la produzione di CO2 del 33% grazie all’idrogeno). Ma c’è grande potenziale anche in altri campi, tra cui la generazione di elettricità e i trasporti via terra, mare e cielo.

L’Hydrogen Council stima che la domanda globale di idrogeno raggiungerà i 375 milioni di tonnellate all’anno entro il 2050, e diversi Paesi, tra cui gli Stati Uniti e quelli europei, hanno iniziato a finanziare l’industria in erba (l’Inflation Reduction Act ha messo da parte 7 miliardi di dollari per il settore). Le difficoltà non mancano: perché sia sostenibile la produzione di idrogeno non deve generare emissioni a sua volta, e produrre quello blu (dal metano, catturando la CO2) e verde (dall’acqua) è costoso e richiede molta energia. Anche trasportarlo è complesso, perché la molecola è piccola e sfuggirebbe dalla maggior parte dei gasdotti esistenti; si può trasformare in ammoniaca, materiale solido, ma il processo diminuisce di molto la quantità di energia che arriva a destinazione.

Ciononostante, i geologi si aspettano che la scoperta faccia partire una nuova “corsa all’oro”: è molto probabile che un flusso importante di investimenti inizierà a confluire nella produzione di idrogeno naturale, ha dichiarato Mengli Zhang, professore assistente di ricerca presso la Colorado School of Mines, alla platea di Denver. Il richiamo alla corsa all’oro non è casuale: gli addetti ai lavori lo chiamano idrogeno d’oro (o bianco) perché sarebbe meno costoso e più sostenibile per l’ambiente sfruttare quello esistente anziché generarlo tramite processi chimici o elettrolisi. Anche se questa verdissima soluzione, ironicamente, passa dalla classica escavazione di pozzi.

Diverse società di esplorazione stanno già cercando attivamente i giacimenti di idrogeno d’oro per immetterlo sul mercato. Per esempio, l’australiana Gold Hydrogen ha riferito a novembre di aver trovato “livelli elevati” del gas in un pozzo dell’Australia meridionale. Negli Stati Uniti l’azienda esplorativa Koloma, sostenuta dalla Breakthrough Energy Ventures di Bill Gates, sta effettuando ricerche nel Midwest statunitense, mentre Natural Hydrogen Energy ha perforato un pozzo esplorativo in Nebraska. E nel Vecchio continente, precisamente nella zona di Bulqizë in Albania, i ricercatori hanno notato a inizio anno che delle vecchie miniere di cromite agiscono come una “sorgente” di idrogeno naturale quasi puro, generando fino a 200 tonnellate all’anno – ossia più della metà di quanto dovrebbe servire all’umanità entro la metà del secolo se l’economia dell’idrogeno va come deve andare.

Questo rimane l’interrogativo principale: va ancora dimostrato se l’idrogeno d’oro possa essere sfruttato commercialmente su scala, in parte perché va separato dagli altri gas presenti nel sottosuolo (come il metano), in parte perché gli scienziati devono ancora capire fino in fondo come si genera, in parte per le problematiche legate al trasporto. “L’interesse sta crescendo rapidamente, ma i fatti scientifici sono ancora carenti”, ha detto Frédéric-Victor Donzé, geofisico dell’Università di Grenoble Alpes, a Science.

Sul lato della domanda, l’ecosistema industriale dell’idrogeno è ancora molto immaturo, come dimostrano gli sforzi statali in Europa e Nord America per innescare artificialmente il processo di crescita. Per farlo serve l’infrastruttura di distribuzione adeguata e degli utilizzi finali, e le soluzioni come quella di Nippon Steel, benché molto promettenti, sono ancora embrionali.

Tuttavia, guardando a un futuro decarbonizzato aumenta, e molto, l’attrattività della molecola. E la scoperta di questi giacimenti può imprimere un’accelerazione potente al processo. Alla conferenza di Denver Ellis ha parlato del villaggio di Bourakébougou, in Mali, l’unico posto al mondo in cui un pozzo naturale fornisce elettricità agli abitanti – generando solo acqua come sottoprodotto, e senza che la pressione sia mai diminuita dalla sua scoperta. Quel pozzo, ha detto il geologo, potrebbe finire per ispirare una corsa all’idrogeno paragonabile a quella innescata da Edwin Drake nel 1859 quando conficcò un tubo nel terreno della Pennsylvania e scoprì il petrolio.

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