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Migrazioni e asilo. Alti e bassi della riforma Ue secondo Tagliapietra (GMF)

Di Alberto Tagliapietra

Tre anni di negoziati hanno portato il patto proposto dalla Commissione a focalizzarsi fortemente sulle istanze degli Stati membri, riducendo la portata innovatrice della riforma e favorendo un approccio securitario. L’analisi di Alberto Tagliapietra, senior program coordinator al Mediterranean Policy Program del German Marshall Fund of the United States

Durante la presidenza di Ursula von der Leyen, la Commissione europea si è trovata a gestire alcune delle più grandi sfide che l’Unione europea abbia dovuto affrontare: una pandemia globale e le conseguenze economiche da essa derivate, la transizione verso un sistema economico ed energetico più sostenibile e, infine, la necessità di riformare le politiche migratorie dell’Unione dopo il loro fallimento nel 2015. Quest’ultima si è dimostrata una delle problematiche più complesse da fronteggiare, a causa della forte politicizzazione del fenomeno migratorio e della riluttanza dei Paesi membri a cooperare su questo argomento. In questo contesto, nel settembre 2020, la Commissione ha presentato il “Nuovo patto sulle migrazioni e l’asilo” per rilanciare il sistema migratorio dell’Unione. A dicembre 2023, Parlamento europeo e Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo politico sul patto, portando così a termine negoziati durati tre anni. Il testo verrà ora trasmesso al Parlamento europeo per l’approvazione finale, programmata per aprile.

Lo scopo del nuovo patto era quello di rappresentare un nuovo inizio per le politiche dell’Unione europea in materia di migrazione e asilo, con l’obiettivo di portare una maggiore solidarietà tra gli Stati membri e una migliore gestione dei migranti e dei richiedenti asilo. Tuttavia, tre anni di negoziati hanno portato il patto a focalizzarsi fortemente sulle istanze degli Stati membri, riducendo la portata innovatrice della riforma e favorendo un approccio securitario.

L’accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio sulla struttura del patto, fondata su cinque diversi regolamenti, è infatti fortemente basato su procedure di confine molto stringenti, minori tutele per i richiedenti asilo e la mancanza di un vero meccanismo di solidarietà per alleviare la pressione dai Paesi di primo ingresso (come Italia, Grecia e Malta). I confini esterni dell’Unione sono i protagonisti della riforma: lo screening delle richieste d’asilo verrà effettuato direttamente sulle frontiere, tramite una procedura che permetterà alle autorità nazionali di discernere tra casi in cui verrà effettuato un rimpatrio e casi in cui le richieste di asilo saranno ritenute legittime. Queste procedure potranno durare fino a tre mesi, tempo in cui i migranti irregolari dovranno restare nei centri di prima accoglienza. Questo, di fatto, istituzionalizza il cosiddetto approccio Hotspot, presentato nel 2015 come misura per far fronte all’incremento dei flussi diretti verso l’Unione. I migranti irregolari che arriveranno ai confini dell’Unione verranno considerati come se non fossero su territorio europeo, portando a una conseguente riduzione delle tutele e a un periodo di sostanziale detenzione presso i centri di prima accoglienza. Inoltre, chi giungerà attraversando i cosiddetti “Paesi terzi sicuri”, la cui classificazione verrà lasciata in gran parte alla discrezione degli Stati membri, rischierà di vedere la propria richiesta di asilo dismessa e, conseguentemente, di venire rimpatriato. Questo sarà il caso, per esempio, delle persone che arriveranno attraverso la Tunisia, un Paese considerato sicuro dall’Unione europea anche se nel 2023 ha portato avanti una forte repressione nei confronti di migranti e richiedenti asilo, con centinaia di persone espulse verso il deserto Libico. È tuttavia importante notare che il rimpatrio, per essere effettuato, richiede l’accordo del Paese interessato, una condizione non sempre esistente. Alla luce di questi elementi, più di 200 accademici ed esperti stanno chiedendo al Parlamento europeo e al Consiglio di rivedere le proprie posizioni sul patto, sottolineando le sue criticità e il rischio posto da queste per i diritti fondamentali dei richiedenti asilo.

Per quanto concerne uno degli aspetti più problematici che regolamenta il sistema migratorio europeo, il sistema di Dublino, il nuovo patto non prevede grossi cambiamenti. I Paesi di primo ingresso rimarranno responsabili per gestire gli arrivi e valutare le richieste d’asilo. Il solo progresso in questo senso consiste nella creazione di un meccanismo “obbligatorio” di solidarietà, che tuttavia garantisce agli Stati membri una certa flessibilità nella sua applicazione. Gli Stati membri saranno infatti in grado di supportare gli Stati di primo ingresso attraverso ricollocamenti di rifugiati e richiedenti asilo oppure, in caso non vogliano procedere con il trasferimento di individui, attraverso un contributo finanziario (20.000 euro per ciascun richiedente asilo assegnato secondo le quote di redistribuzione ma non accolto) per sponsorizzare il ritorno di migranti irregolari, contribuire all’apparato di accoglienza dei Paesi di primo ingresso, oppure supportando Paesi esterni all’Unione europea che si trovano a gestire un grande numero di migranti e richiedenti asilo.

Il pragmatismo sembra aver prevalso sui principi nel nuovo patto, continuando una spinta verso una politica migratoria centrata sulla sicurezza. Un ulteriore esempio in questo senso può essere osservato nell’approvazione del “regolamento per affrontare le situazioni di strumentalizzazione”, un regolamento che trova origine nel 2021, quando il governo bielorusso ha perpetrato un “attacco ibrido” al confine tra Unione europea e Bielorussia, spingendo migliaia di migranti ad attraversare il confine con Polonia, Lettonia e Lituania. Questo ha portato a un forte incremento degli attraversamenti in quella porzione di confine, che a fine 2021 ha toccato quota 8.000 (contro i 667 del 2020), e alla dichiarazione di uno stato d’emergenza nei tre Paesi interessati. Lo scopo del regolamento è di supportare gli Stati membri interessati da questo fenomeno disponendo una procedura di emergenza per la gestione della migrazione e dell’asilo. Tuttavia, questo regolamento non presenta una chiara definizione di cosa si intenda con strumentalizzazione, un aspetto problematico considerate le importanti deroghe alle norme sulla gestione dei migranti che la sua attivazione comporta.

L’implementazione del patto deve ancora cominciare. Le misure approvate richiederanno almeno due anni prima di entrare in vigore e non porteranno, dunque, a cambiamenti nel breve periodo. Tuttavia, anche considerando il lungo periodo sembra difficile che queste misure porteranno a un sostanziale cambiamento, particolarmente per gli Stati di primo ingresso. Il nuovo Patto non renderà più rapida la gestione delle richieste d’asilo, dato che le nuove procedure alla frontiera potranno ora durare fino a tre mesi. I Paesi di primo ingresso saranno ancora responsabili per la gestione dell’accoglienza, anche quando questi arriveranno dopo operazioni di salvataggio in mare, dato che nessun accordo è stato raggiunto per implementare un meccanismo ad hoc per questi casi. Anche per quanto concerne i rimpatri, importante priorità per tutti gli Stati membri, sarà difficile assistere a un loro aumento dato che nessuna delle nuove misure mira a incrementare la cooperazione con gli Stati terzi (nel 2022, 422.400 richieste di espulsione sono state emesse dagli Stati membri, ma solo 96.795 sono state effettuate, il 47% delle quali è avvenuta volontariamente). Infine, il Patto non implementerà alcuna nuova misura allo scopo di offrire nuove vie legali per raggiungere l’Unione, non ci possiamo aspettare dunque una diminuzione negli arrivi irregolari e, di conseguenza, nemmeno una diminuzione delle morti nel Mediterraneo (solo nel 2023 sono morte 3129 persone nel Mediterraneo). Nonostante questo, i governi dei Paesi di primo ingresso, inclusa l’Italia, hanno celebrato l’approvazione del patto e il suo equilibrio tra responsabilità e solidarietà.

Meccanismi di supervisione e monitoraggio dovranno essere implementati al fine di assicurarsi che gli Stati membri rispettino i propri obblighi, particolarmente per quanto concerne le infrastrutture, come per esempio l’utilizzo di centri di accoglienza adeguati al numero di persone ospitate, e per assicurarsi che le nuove procedure siano applicate rispettando le norme europee e la legge internazionale. Supervisionare come le nuove misure verranno implementate sarà particolarmente importante dato che le violazioni alle leggi europee e internazionali accadono già fin troppo spesso ai confini esterni dell’Unione, come testimoniato anche dalla recente apertura di un’inchiesta da parte del mediatore europeo, Emily O’Reilly, per l’elevato numero di morti nel Mediterraneo. Il monitoraggio sarà inoltre cruciale anche perché le scarsamente definite deroghe previste dal nuovo patto in caso di emergenza, e la mancanza di un effettivo meccanismo di solidarietà, incoraggeranno gli Stati membri a continuare a spingere verso una maggiore esternalizzazione nella gestione del fenomeno migratorio (si vedano i recenti accordi con Egitto, Albania e Mauritania), con una conseguente esternalizzazione anche della responsabilità per come i richiedenti asilo e i migranti sono trattati.



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