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Cresce la distanza dai populisti grillini e leghisti? L’interrogativo di Merlo

Se la politica vuole ritrovare, e soprattutto riscoprire, la sua vera “mission” nella nuova stagione che si è aperta dopo l’esplosione prima del grillismo e poi del leghismo salviniano, diventa sempre più necessario ed indispensabile isolare in modo irreversibile il populismo. La riflessione di Giorgio Merlo

Il populismo è stato il principale vulnus per rafforzare la qualità della nostra democrazia, la credibilità delle nostre istituzioni e la salute dello stesso sistema politico. E questo perché il populismo è la negazione stessa della politica e dei suoi istituti principali: dal ruolo dei partiti politici al valore delle culture politiche di riferimento; dall’autorevolezza delle classi dirigenti alla centralità dei progetti politici. E, soprattutto, il rischio – come è puntualmente capitato – che con la vulgata populista prevalgono il trasformismo politico e l’opportunismo parlamentare.

Ora, di fronte ad un quadro politico che, malgrado il permanere di difficoltà oggettive, punta a recuperare i suoi “fondamentali”, è di tutta evidenza che il populismo va sempre più isolato. E questo non solo perché il populismo nuoce alla “buona politica” e alla credibilità stessa della politica ma per la semplice ragione che l’alternativa alla decadenza e all’impoverimento della politica passa solo ed esclusivamente attraverso la negazione radicale di quella sub cultura e di quella deriva.

Certo, le alleanze con i partiti populisti non sono affatto una variabile indipendente. Chi si allea con i populisti ha due sole strade di fronte: o riesce a rendere marginale e del tutto ininfluente il ruolo e la presenza dei partiti populisti oppure, e al contrario, lo cavalca e il populismo continua ad incidere nel cammino concreto della coalizione.

Ecco perché, adesso, si tratta di capire come le singole ed attuali coalizioni riescono a rendere ininfluente quella malapianta. Se nel centrodestra la leadership politica forte e visibile di Giorgia Meloni rende, di fatto, sempre più marginale il peso e il ruolo della Lega salviniana – vista anche la crescente difficoltà del capo del Carroccio all’interno del suo stesso partito – nel campo della sinistra il processo è, purtroppo, inverso. Ovvero, la quasi totale sintonia culturale e valoriale – usando un termine un po’ forte – tra il partito di Schlein e quello di Conte e di Grillo rende, di fatto, centrale la subcultura populista, anti politica e demagogica nella costruzione del progetto politico del cosiddetto “campo largo”. Si tratta, dunque, di fare una scelta politica precisa e alquanto netta.

Anche perché tutti sanno, adesso, quali sono stati i danni concreti della deriva populista per la politica italiana. Se si intende perseverare su questo versante il rischio concreto che si corre è che siano proprio le cosiddette “estreme” – cioè i partiti e i gruppi populisti e demagogici – che condizioneranno l’elaborazione del progetto complessivo della rispettiva coalizione. E se la politica vuole ritrovare, e soprattutto riscoprire, la sua vera “mission” nella nuova stagione che si è aperta dopo l’esplosione prima del grillismo e poi del leghismo salviniano, diventa sempre più necessario ed indispensabile isolare in modo irreversibile quella malapianta. Certo, sarebbe ottimale che le rispettive coalizioni non avessero più al loro interno partiti e movimenti populisti. Sempreché non ci siano partiti che continuano ancora ad individuare nel populismo un ‘valore aggiunto’ per una moderna e credibile politica.



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