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Sanità, la responsabilità delle nazioni secondo Ricciardi

Di Walter Ricciardi

Nell’accingersi a guidare il G7, il nostro Paese ha la grande responsabilità di chiarire se vuole continuare a garantire un diritto fondamentale come la tutela della salute con un approccio universalistico o ritornare a prima del 1948, quando per curarsi bisognava pagare. Speriamo che la scelta sia quella giusta. L’intervento di Walter Ricciardi, professore di Igiene presso l’Università Cattolica sacro cuore di Roma

Nel 1948 nasceva in Gran Bretagna il primo sistema sanitario garante di una Copertura sanitaria universale senza se e senza ma, il National health service (Nhs). L’idea era così dirompente che l’allora ministro della Salute, Aneurin Bevan, nella conferenza stampa di presentazione, percepì l’incredulità persino dei giornalisti presenti e decise, per vincere la diffidenza, di stampare milioni di volantini per mettere nero su bianco i principi e l’operatività del nascente Servizio sanitario nazionale. Vale la pena riportare la traduzione del primo paragrafo: “Il 5 luglio 1948 nasce il National health service. Vi fornirà tutta l’assistenza medica, dentistica e infermieristica di cui avete bisogno. Ognuno – ricco o povero, uomo, donna o bambino potrà utilizzarlo. Non ci sono soldi da pagare, né assicurazioni da stipulare, ma non è beneficienza, tutti voi contribuite a finanziarlo, principalmente con le tasse, ma vi solleverà dalle preoccupazioni finanziarie nel momento della malattia”.

Il ministro aggiungeva “perché nessuna società può essere definita civile se a una persona viene negata assistenza sanitaria se non ha soldi per pagarla”. Com’è noto, l’Italia inserì questo principio lo stesso 1948 nell’articolo 32 della Costituzione, ma ci vollero trent’anni per il varo del nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn) e per la creazione della più grande opera pubblica italiana, che ha contribuito in modo decisivo a garantire sviluppo e prosperità al nostro Paese negli ultimi 45 anni.

Oggi, proprio nel momento in cui l’Organizzazione mondiale della sanità promuove uno sforzo eccezionale per l’estensione della Copertura universale ai miliardi di persone che ancora non ce l’hanno, il servizio britannico e quello italiano lottano per la loro sopravvivenza. L’Universal health coverage (Uhc) rappresenta infatti un obiettivo fondamentale per la promozione della salute a livello mondiale. Garantire che ogni individuo abbia accesso a servizi sanitari essenziali, senza subire impoverimento finanziario è cruciale per il benessere collettivo e la realizzazione di una società equa.

La Copertura si articola su tre pilastri essenziali: accesso universale a servizi sanitari di qualità, protezione finanziaria contro il rischio di spese sanitarie catastrofiche e Copertura di un’ampia gamma di servizi essenziali, inclusi quelli preventivi, curativi e riabilitativi.

Esiste una consolidata letteratura scientifica che descrive i benefici tangibili dell’Uhc. Si va dal miglioramento della salute delle popolazioni, con la riduzione della diffusione di malattie trasmissibili e non trasmissibili – dal momento che gli individui hanno accesso a servizi preventivi, diagnostici, terapeutici e riabilitativi aumentando la qualità e la speranza di vita – all’equità sociale ed economica poiché la Copertura riduce le disparità sociali ed economiche, garantendo che l’accesso ai servizi sanitari non dipenda dal reddito o dallo status sociale. Ciò promuove un equilibrio sociale più sano e una maggiore coesione all’interno delle comunità.

Un ulteriore beneficio è la crescita economica sostenibile: fare in modo che gli individui si mantengano sani permette alla collettività di essere più produttiva, che l’assenteismo lavorativo sia ridotto e che lo sviluppo economico complessivo di un Paese possa trarne giovamento.

A questi vantaggi se ne aggiungono altri, emersi nel contesto delle sfide globali che stiamo affrontando, come ad esempio le pandemie, le malattie trasmissibili e le minacce ambientali, che richiedono una risposta globale. La Copertura crea un sistema robusto per affrontare queste sfide, garantendo che ogni individuo possa acce- dere rapidamente a servizi essenziali durante le emergenze sanitarie.

Nel mondo sempre più interconnesso di oggi, la salute di una nazione ha impatti diretti sulla salute mondiale. Investire nella Universal health coverage è un atto di responsabilità condivisa per garantire che nessun individuo o comunità sia lasciato indietro.

L’Universal health coverage, inoltre, è strettamente legata agli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, tra cui la salute e il benessere, l’eliminazione della povertà e la riduzione delle disuguaglianze. Va quindi sottolineato come l’Uhc rappresenti un imperativo globale per promuovere la salute, l’equità e lo sviluppo sostenibile. Investire nella Copertura non solo migliora la vita delle persone a livello individuale, ma crea una società più giusta, resiliente e interconnessa.

È responsabilità di ogni nazione e della comunità internazionale lavorare insieme per garantire che la Copertura diventi una realtà per tutti, ovunque nel mondo. Solo attraverso sforzi collaborativi possiamo sperare di costruire un futuro in cui la salute sia veramente un diritto universale. L’Italia, così come la Gran Bretagna, ha svolto nel passato un ruolo guida nella promozione di sistemi sanitari universalistici, ma affrontano oggi una sfida esistenziale per garantire la loro sopravvivenza.

La frammentazione decisionale, il sottofinanziamento, la scarsità del personale sanitario, l’obsolescenza delle strutture sanitarie pubbliche sono tutte problematiche oggi ampiamente irrisolte e ingravescenti che stanno comportando una crescente difficoltà da parte dei cittadini che si trovano sempre più spesso a fronteggiare la scelta di pagare per accedere ai servizi o di rinunciare alle cure. Nell’accingersi a guidare il G7, il nostro Paese ha la grande responsabilità di chiarire se vuole continuare a garantire un diritto fondamentale come la tutela della salute con un approccio universalistico o ritornare a prima del 1948, quando per curarsi bisognava pagare. Speriamo che la scelta sia quella giusta.

Articolo pubblicato nella rivista Healthcare Policy

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