Il mercato del lavoro italiano già fortemente polarizzato, rischia una ulteriore polarizzazione tra chi sarà coinvolto dentro questa trasformazione e chi ne resterà marginalizzato. Più che agitare un futuro di lavoro povero generalizzato bisogna costruire le condizioni perché il processo di innovazione sia un processo di diffusa e vasta partecipazione
Ogni tecnologia evolve e matura nel tempo. Recentemente, l’intelligenza artificiale (AI) si è trasformata da concetto futuristico a realtà tangibile. Dagli entusiasmi iniziali dei momenti fondativi al Dartmouth College nel 1956, l’attenzione e lo sviluppo dell’AI ha avuto numerosi abbandoni, veri e propri inverni. Questo primo maggio avviene in una fase di “primavera” dell’intelligenza artificiale. Crescono gli investimenti, l’attenzione mediatica, si allarga la platea di chi vi entra a contatto e la utilizza quotidianamente.
Anche stavolta, il nostro Paese (e non solo) è diviso tra ottimisti e pessimisti. E anche le conferenze, a cui spesso partecipo, sono divise tra relatori che cercano di sorprendere (wow) spesso con aspetti estremi e applicazioni ancora non mature e altri che cercano di spaventare.
Personalmente ritengo che sia il momento per diffondere “consapevolezza”. Similmente a quanto avvenne, più in generale, per gli algoritmi e i robot, ora si tende a incolpare l’AI per ogni cosa, (“ha stato l’AI”). Ad esempio, quando si dice che le big tech stanno licenziando a causa del maggiore impiego di AI, in realtà quest’ultima è una buona scusa per giustificare piani di riorganizzazione e ristrutturazione. Il depistaggio su un nemico astratto funziona sempre. Si cessa di approfondire e parte un passaparola basato su un’autentica bufala.
Alcune certezze, negli ultimi 5 anni (dati osservatorio Politecnico di Milano) il mercato dell’AI è cresciuto del 262%. Gran parte delle ricerche Us e degli studi prevedono che 2/3 del lavoro cambierà notevolmente per mezzo dell’AI.
Esaminiamo le ultime tre fasi dell’evoluzione tecnologica: 1) la robotica avanzata, di per sè, cancella e genera lavori con un saldo positivo. I paesi a più alta densità di robotica (n. di robot installati ogni 10.000 lavoratori) sono i paesi a più bassa disoccupazione. 2) Il digitale di per sé cancella le mansioni routinarie ripetitive e valorizza quelle a maggiore ingaggio cognitivo. La grande trasformazione che nel lavoro erode soprattutto le mansioni ripetitive impiegatizie più che quelle operaie. 3) L’avvento dell’intelligenza artificiale scompagina di nuovo lo scenario.
L’AI generativa e forse ancora di più la prossima AI generale, ha la capacità di produrre contenuti (testi, immagini, sintesi, contratti, atti, video, etc.) e questo la fa sconfinare l’impiego delle tecnologie in un’area che pensavamo inattaccabile: quella del lavoro creativo e ad alto contenuto cognitivo.
Con un elemento di novità ben descritto dal paradosso di Moravec (1987): i ragionamenti di alto livello cognitivo richiedono pochissima attività di calcolo, mentre l’emulazione delle capacità sensomotorie di basso livello cognitivo richiedono enormi risorse computazionali. Come per il digitale tutto ciò da spazio e profondità occupazionale alla mobilitazione dei nostri sensi e a livelli di ibridazione sapiente della nostra manualità.
Il tema è pertanto, molto più serio del “quanti posti di lavoro perderemo”. Si tratta di utilizzare un “metodo” per capire le tendenze. Quello che propongo riguarda la necessità di ripartire dalle 804 professioni che l’Istat categorizza e censisce in Italia.
Su di esse l’AI avrà 3 diversi livelli di impatto: 1) genererà nuove professioni oggi sconosciute 2) cancellerà alcune professioni 3) integrerà, potenzierà e supporterà professioni esistenti.
Il terzo effetto sarà il più rilevante. Ogni professione viene esercitata con diversi ruoli, competenze e abilità. Come molte ricerche già ci confermano, il primo passo è tornare a scomporre il lavoro e le professioni in abilità e attività (task). Misurare lo score (il punteggio) ovvero il grado di “esposizione” di queste attività al poter essere trasformate, aumentate, supportate, integrate dall’AI. Ovviamente questa rilevazione va eseguita periodicamente perché il perimetro dei task su cui l’Ai può esercitare un ruolo supplementare o complementare è crescente. Vi sono poi effetti indiretti relativi a come l’Ai modifica l’organizzazione del lavoro, si integra con altre tecnologie. Queste ultime convergenze (pensate ad es. all’AIot, l’integrazione tra AI e Internet delle cose) cambiano a loro volta direttamente l’organizzazione del lavoro e indirettamente le professioni al suo interno.
Polarizzazione tra persone, tra imprese, tra Paesi
Altra certezza è la polarizzazione di un mercato del lavoro italiano già fortemente polarizzato tra chi sarà – per condizione, nascita, possibilità, ecc. – coinvolto dentro questa trasformazione e chi ne resterà marginalizzato. Più che agitare un futuro di lavoro povero generalizzato bisogna costruire le condizioni perché il processo di innovazione sia un processo di diffusa e vasta partecipazione. Anche perché la stessa polarizzazione avverrà tra imprese, coinvolte e protagoniste o marginalizzate e in questo la taglia dimensionale troppo piccola delle nostre è un vero guaio. Per questo avere una rete diffusa di trasferimento tecnologico e di competenze è molto più importante e credibile che avere una “open AI” italiana. Puntiamo ad avere un tessuto produttivo pronto e rapido ad accogliere, adattare e ripensare le innovazioni abbassando la soglia del loro accesso indipendentemente dalla loro taglia dimensionale. Sempre secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, l’82% delle Pmi non ha alcun progetto di utilizzo dell’Ai, percentuale che scende al 39% per le grandi Imprese.
Alcuni nodi chiave/proposte:
Realizzare un’agenzia nazionale che si occupi di “verticalizzare” le strategie sull’Ai negli ambiti di impatto attorno al lavoro e all’impresa:
– Distinguere e rafforzare il sostegno alla ricerca di base e alla ricerca applicata (innovazione)
– Costruire una rete di trasferimento tecnologico e di competenze diffusa in tutto il paese in grado di abbassare la soglia di accesso all’innovazione per le pmi
– Sostegno degli ecosistemi territoriali digitali innovativi
– Incentivare l’utilizzo, nell’ambito della twin transition di piani che prevedano l’utilizzo di sistemi di Ai che garantiscano un migliore impatto su produttività e sostenibilità
Incentivare l’inserimento nei contratti collettivi il diritto soggettivo alla formazione a prescindere dalla forma e dalla durata dei rapporti di lavoro
– Costruire un sistema di orientamento allo studio e al lavoro che riduca lo skill-mismatch
– Riformare il credito di imposta della formazione
– Riformare istruzione e formazione secondo le nuove sfide educative e formative. Programmi (contenuti) e metodi di apprendimento vanno in larga parte riformati.
– Organizzare e rafforzare le risorse e l’offerta formativa per il reskilling (riqualificazione) delle lavoratrici e dei lavoratori coinvolti nella trasformazione
– Realizzare uno standard comune di certificazione della formazione (formale e informale)
– Realizzare una rete dell’offerta formativa sull’Ai coinvolgendo pubblico e privato
– Ampliare ulteriormente l’ambito degli Its sul digitale e all’AI
Riordinare, semplificazione e rafforzamento dei percorsi di sostegno delle aziende e delle start-up innovative e alle pmi.
Accompagnare imprese e lavoratori in ambito di sicurezza AI, protezione dati, sicurezza relativa a tutte le vulnerabilità generate dall’utilizzo di sistemi di AI.
Realizzare iniziative di rafforzamento dei sistemi di finanziamento privato allo sviluppo di impresa (fondi di investimento, venture capital, etc.), attualmente in crescita ma ancora molto debole rispetto a
– Incentivare la realizzazione di datacenter in Italia
– Rafforzare il contributo italiano alla creazione di uno standard europeo per le reti cloud come avviato in Gaia X.
Dall’inizio dell’anno la Commissione Europea ha lanciato il progetto di una rete di “AI Factories”, una sorta di AI one-stop per aiutare aziende, ricercatori, centri di ricerca, a sviluppare algoritmi, testare e convalidare modelli di intelligenza artificiale su larga scala e facilitare il loro accesso ai supercomputer dedicati all’intelligenza artificiale. L’idea è di riunire le “materie prime” per l’IA: potenza di calcolo, dati, algoritmi e competenze per recuperare un protagonismo europeo su questa partita. Dobbiamo recuperare ritardi, investire molto di più ed evitare progetti civetta.
La sfida che ci pone l’intelligenza artificiale è anche educativa. 1) Educare all’intelligenza artificiale (diffondere consapevolezza. 2) Educare con l’intelligenza artificiale (l’AI aiuta a personalizzare i metodi di apprendimento a prevenire la dispersione scolastica e a personalizzare i materiali didattici). 3) Educare l’intelligenza artificiale. (la necessità di addestrare questi algoritmi è fondamentale per proteggere la prospettiva umanocentrica di questo sviluppo).