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Phisikk du role – L’eterno ritorno della legge elettorale stavolta passa dalla Cedu

Il maestro spiegava che la forma di governo dipende essenzialmente da “ due antefatti”: la legge elettorale e il sistema di partito. Fino a quando non si metterà mano a questi due fondamentali momenti, optando per un sistema elettorale proporzionale con adeguate soglie di sbarramento, non ci sarà uscita dall’impasse in cui versa la politica italiana

È impossibile sfuggire alla maledizione del Tutankhamen delle leggi elettorali italiane. Ogni volta è come il gioco dell’oca, con la casella del ritorno alla partenza. Per adesso è solo un warning che viene da Strasburgo: la Corte Europea dei Diritti Umani ha riconosciuto fondato il ricorso presentato dal Radicale Staderini e da altri cittadini contro il Rosatellum, la legge elettorale che ha accompagnato alla vittoria il centro-destra nel 2022. Per gli amanti di algoritmi e tecnicalita’ elettorali (pochi suppongo) basterà ricordare che la Cedu ha ritenuto plausibili almeno un paio di importanti fragilità e violazioni denunciate dai ricorrenti. La prima è la mancata possibilità di espressione del voto disgiunto nella lista elettorale tra scelta riservato alla quota proporzionale e voto maggioritario, imponendo un automatismo che viola “il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. La seconda è la ripetuta manomissione della legge elettorale in prossimità del voto che viola il principio della stabilità delle regole del gioco sancite dal Codice di buona condotta della Commissione di Venezia, a cui aderisce anche l’Italia, codice che vieta il mutamento delle regole nell’anno prima delle elezioni. Una terza questione, cui dovrà dare risposta, insieme alle altre, il governo entro il 25 luglio, riguarda la possibilità dei cittadini di produrre un “ricorso effettivo” presso i tribunali nazionali ai sensi dell’art.13 della Convenzione Cedu in caso di violazione del diritto a libere elezioni. La palla è ora in mano al governo che non solo dovrà difendere il Rosatellum per affermare la legittimità delle procedure elettorali su cui si regge la maggioranza in carica, ma vede anche all’orizzonte una certa foschia per la riforma del premierato elettivo, pensata a misura di Rosatellum (o giù di lì).
Vedremo cosa accadrà al tribunale di Strasburgo ma certamente non ci occorre la pronuncia della Cedu per riconoscere che il nostro ordinamento elettorale a livello delle assemblee parlamentari, rappresenta l’esempio più ricco di manomissioni che le democrazie occidentali riescono ad offrire: dal 1993 al 2017 il ritmo compulsivo del legislatore ha licenziato cinque leggi elettorali, comprendendo il proporzionale di partenza e la serie dei “latinorum” (Mattarellum, Porcellum, Italicum, Rosatellum) dovuta, almeno per i primi due, al raffinato e urticante sarcasmo del professor Giovanni Sartori (che sfregiava con l’ ”um” maccheronico, i pasticci normativi che si andavano ad approvare in Parlamento), comprendendo anche l’inedito assoluto di una legge approvata dalle Camere e repentinamente stroncata dalla Corte Costituzionale (l’Italicum di Renzi). Insomma: un cantiere perennemente aperto che nasce male perché si allestisce non per costruire una regola condivisa, spinta verso il massimo grado possibile di neutralità, ma poggiata sulle convenienze della maggioranza pro-tempore, visto che la legge elettorale è approvata con i numeri della legge ordinaria, pur avendo un valore specialissimo e fortemente connesso alle dinamiche costituzionali. E’ spesso accaduto, pertanto, che, chi maneggiava con profitto i numeri nel Parlamento abbia proceduto a modificare le leggi elettorali secondo il criterio dell’utilità politica della maggioranza, piuttosto che concepire uno strumento di democrazia costruito “con il velo dell’ignoranza”, tanto per citare il comportamento dei nostri Costituenti che, non avendo nessuna idea di come potesse andare a finire con la nuova forma democratica repubblicana e con l’estensione del voto a tutti i cittadini, adottarono lo strumento neutro del proporzionale, garantendo, inoltre, la possibilità del voto di preferenza.
Comunque, anche se non ci fosse stato l’inciampo del ricorso alla Cedu, la “madre di tutte le riforme” maneggiata come promessa dalla presidente Giorgia Meloni (e vissuta invece come minaccia da parecchi italiani), avrebbe comportato un nuovo intervento per rimodellare la legge elettorale, per adattarla al premierato. Meloni, dopo aver cercato senza successo di incistarla nella riforma costituzionale, aveva pensato bene di togliere di mezzo complicazioni immediate – si sa, l’argomento riforme elettorali è divisivo in se’- rinviando la stesura della legge a dopo l’approvazione della legge costituzionale. Ora, però, la questione prende un’accelerazione imprevista. Del resto lo ricordava il già citato Sartori- di cui ricorre in questi giorni il centenario della nascita, in un saggio del 2023 che stroncava il premierato elettivo (allora cavallo di battaglia del Pd). Il maestro spiegava che la forma di governo dipende essenzialmente da “ due antefatti”: la legge elettorale e il sistema di partito. Fino a quando non si metterà mano a questi due fondamentali momenti, optando per un sistema elettorale proporzionale con adeguate soglie di sbarramento, non ci sarà uscita dall’impasse in cui versa la politica italiana. Non fu ascoltato allora. Dubito che possa avvenire oggi.


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