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Parigi, Varsavia, Stoccolma. Quale contrattacco per Kyiv?

Mentre la Svezia approva un nuovo, importante, pacchetto di aiuti per Kyiv, la Polonia si aggiunge ai Paesi che consentiranno all’Ucraina di colpire con i propri sistemi d’arma il territorio russo, dopo Finlandia, Regno Unito, Svezia, Francia, Germania e Danimarca

Dopo il Consiglio europeo della difesa di ieri, la Polonia si aggiunge all’elenco degli Stati che hanno rimosso le restrizioni sull’uso delle armi fornite entro il confine russo-ucraino, permettendo di conseguenza il loro uso anche verso il territorio di Mosca. La decisione arriva insieme all’annuncio della Svezia di un nuovo pacchetto di aiuti da 1,16 miliardi di euro per Kyiv. Questo 16esimo pacchetto di Stoccolma porta il totale degli aiuti svedesi a 4,35 miliardi di euro (in altri termini, ieri la Svezia ha sbloccato più di un quarto del suo supporto totale). Oltre alla magnitudo finanziaria, la mossa è impattante in quanto comprende due velivoli da sorveglianza aerea Asc 890, che si potrebbero rivelare un grande moltiplicatore di forze per gli F-16 in arrivo. Questi ultimi, infatti, sono macchine all’avanguardia, ma comunque non dotate della situational awareness di cui godono gli F-35 o della capacità stealth degli F-22. Pertanto, beneficerebbero (loro ed i missili occidentali che trasporteranno) dal poter vedere senza essere visti. Queste due novità si inseriscono all’interno di un dibattito più ampio circa l’opportunità di innalzare ulteriormente il livello del supporto militare all’Ucraina. 

Ciò che ha determinato l’inizio di questo cambio di passo è stata l’intervista al presidente francese Emmanuel Macron il 14 marzo scorso, a margine di una conferenza internazionale organizzata da Parigi sul sostegno militare a Kyiv. Quella mezz’ora, letta come la volontà della Francia di inviare truppe in Ucraina, indicava invece la volontà dell’Eliseo di rimuovere l’esclusione a priori di questa eventualità. Altro passaggio significativo dell’intervista è stata l’apertura di Macron all’uso di fondi europei per l’acquisto di munizioni prodotte altrove. 

Il dibattito si concentra sulla rimozione dei presenti vincoli circa l’uso delle armi fornite che impediscono a Kyiv di colpire il territorio russo. Una limitazione dettata anche dalla dottrina russa che prevede l’impiego di testate nucleari in “situazioni critiche per la sicurezza nazionale”, oltre al timore che Mosca possa usare ordigni nucleari tattici per arrivare al tavolo delle trattative in una posizione di forza. Timori dettati anche dalle esternazioni del presidente russo Vladimir Putin su possibili escalation. 

Come sottolineato anche dall’alto rappresentante dell’Unione europea per la Politica estera e di sicurezza Josep Borrell, per difendersi l’Ucraina ha necessità di colpire le installazioni militari che la Russia utilizza per attaccarla. Nello specifico, infatti, non si tratta di garantire a Kyiv la libertà assoluta nell’impiego dei sistemi, quanto la libertà di utilizzo nei limiti del diritto internazionale e delle necessità strategiche di Kyiv: quindi l’Ucraina non potrà colpire, ovviamente, le installazioni civili, ma nemmeno i siti militari russi non direttamente utilizzati nell’invasione.

La Polonia non è l’unico Paese ad aver concesso questa libertà a Kyiv, rispondendo all’appello del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e alle richieste ucraine. Lord James Cameron, ministro degli Esteri britannico, ha annunciato il 3 maggio che l’Ucraina “ha tutto il diritto di rispondere colpendo la Russia” (“strike back” nel discorso originale). Il 28 maggio, inoltre, Macron e il suo omologo tedesco Olaf Scholz hanno annunciato che i loro rifornimenti sarebbero potuti essere usati contro siti militari in Russia. In precedenza, invece, la Germania si era detta contraria. A oggi, quindi, i Paesi che hanno aperto a questa possibilità sono la Finlandia (29 febbraio), la Svezia (26 maggio) e la Danimarca (28 maggio).

La ministra degli Esteri lettone ha anche dichiarato che diversi Paesi hanno già concesso questa autorizzazione senza annunciarlo pubblicamente (tra cui forse il Portogallo, poiché, secondo alcuni, il drone con cui gli ucraini hanno recentemente attaccato una stazione radar russa era di produzione congiunta Lisbona-Londra). Altri – come Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca – si sono espressi circa la necessità di concedere questa libertà a Kyiv, senza però fornirla essi stessi. In Italia le parole di Stoltenberg hanno incontrato la contrarietà delle componenti del governo. Negli Stati Uniti, nonostante la posizione ufficiale mantenuta anche dal presidente Joe Biden sia quella di non permettere questo allargamento dell’impiego di sistemi d’arma, si sta sviluppando un dibattito interno relativamente a ciò.

Borrell ha anche presentato la possibilità di inviare istruttori europei sul suolo di Kyiv per aumentare l’efficienza dell’addestramento degli ucraini. Questo, però, porta con sé il rischio di potenziali incidenti, come l’uccisione degli stessi da parte russa. Al netto delle dichiarazioni in sede europea, però, la parola finale spetta ancora ai singoli Paesi, che siano Nato o Ue.


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