Il Paese più povero e corrotto (dopo l’Ungheria) dell’Unione Europea è stato asservito dalla Russia con la corruzione sistemica e la mafia, che se ne serve per aggirare le sanzioni e riciclare denaro. La magistratura è diventata uno strumento di ricatto, le leggi vengono applicate selettivamente, gli appalti e i fondi europei sono un bottino da spartire e 1/3 dei bulgari ha preso parte a episodi corruttivi. La Bulgaria ha perso speranza nel domani e la sua popolazione si è ridotta del 30% in 35 anni. L’ex primo ministro Borisov e l’oligarca sanzionato dagli Usa Peevski, in testa nei sondaggi, minacciano di far precipitare ulteriormente la situazione, mettendo nei guai anche Ursula von der Leyen
Entro il 9 giugno 373 milioni di europei saranno chiamati al voto per eleggere il nuovo Parlamento dell’Unione Europea. Tuttavia in alcuni paesi l’appuntamento è doppio. Oltre al Belgio, rinnoverà la propria Assemblea nazionale, monocamerale, la Bulgaria, la nazione più povera dell’Unione. Per i bulgari la chiamata alle urne può rievocare il bug di un videogioco in cui non si riesce ad andare avanti con la trama, dato che è la 6° volta in 3 anni che si tengono le elezioni parlamentari.
Il detonatore del voto anticipato è stato il fallimento del patto della staffetta tra i conservatori di Gerb e i liberali di “Continuiamo il cambiamento” per la rotazione alla guida dell’esecutivo, che ha determinato lo scioglimento della legislatura.
Tuttavia queste elezioni sono solo l’ultimo atto di un’instabilità che in 11 anni ha visto avvicendarsi 14 esecutivi.
La volatilità del quadro istituzionale si è acuita col declino di Bojko Borisov, che è il “rieccolo” – soprannome dato da Indro Montanelli al sempre redivivo Fanfani – della politica bulgara con un decennio da premier alle spalle, in cui è riuscito a tenere insieme al governo l’estrema destra con i socialdemocratici.
La Bulgaria è una repubblica parlamentare in cui il primo ministro riceve la fiducia dall’Assemblea Nazionale e la legge elettorale è proporzionale. Pertanto il sistema è particolarmente vulnerabile al franamento di consenso dei partiti tradizionali. Non a caso in questa serrata successione di votazioni sono sorte e tramontate nello spazio di un mattino formazioni populiste come “C’è un popolo così”, che a qualche mese dalla sua fondazione è arrivato a ottenere quasi ¼ dei suffragi dei bulgari.
Nel frattempo l’affluenza è diventata bassissima, attestandosi al 40% nelle ultime elezioni. Adesso l’astro nascente è “Rinascita”, un partito filorusso di estrema destra che si schiera per l’uscita dalla Nato e dall’Ue.
Ago della bilancia in questa tornata è però Delyan Peevski, un magnate sanzionato da Stati Uniti e Gran Bretagna per i suoi tentativi di assoggettamento sistemico delle istituzioni bulgare attraverso la corruzione e il controllo dei media.
Il tycoon è il copresidente del Movimento per i Diritti e le Libertà (Dps), il partito centrista di riferimento della minoranza turca in Bulgaria che tuttora confina con la Turchia ed è stata per cinque secoli, formalmente fino al 1908, sotto il dominio dell’Impero Ottomano.
È diffuso il timore che un ingresso di Peevski nella stanza dei bottoni di un paese membro della Nato e dell’Ue possa avere – ulteriori – gravi ripercussioni sull’integrità degli apparati di sicurezza e del sistema giudiziario, per di più a guerra ancora in corso tra Russia e Ucraina.
Nell’ultimo decennio è infatti più volte emerso l’irretimento dell’intera macchina statale da parte della Russia. Le longae manus di Mosca sono la criminalità organizzata e gli oligarchi locali. La “corruzione strategica” è lo strumento in mano alla Federazione Russa per mantenere salda la sua influenza sulla Repubblica del Mar Nero, che si concretizza attraverso lo svuotamento dello Stato di diritto e l’addomesticamento degli apparati di sicurezza, delle forze dell’ordine, delle aziende statali e di quelle operanti in regime di monopolio.
In aggiunta, questa sudditanza si traduce in un’applicazione selettiva delle leggi, in una legislazione ad personam e in un’assegnazione fortemente iniqua di fondi, concessioni e appalti pubblici. Per rafforzare la sua presa, il Cremlino fa inoltre leva su una schiera di media amici e i suoi storici legami culturali col popolo bulgaro, che alimenta finanziando una variegata rete di associazioni e circoli sportivi. Durante la Guerra fredda, la Bulgaria, allora membro del Patto di Varsavia, era detta infatti la “16° repubblica sovietica”, nonostante non facesse parte dell’Urss.
L’origine di questo asservimento è da ricercare negli anni ’90 durante la transizione del Paese alla democrazia, quando gli agenti dei servizi segreti del regime comunista bulgaro si appropriarono delle aziende di Stato e formarono delle associazioni mafiose, per trafficare droga e armi.
Per il Cremlino la Bulgaria è stata finora la backdoor per l’aggiramento delle sanzioni europee e il riciclaggio di denaro: per un anno e mezzo dopo l’invasione dell’Ucraina, la russa Lukoil ha continuato a controllare il porto bulgaro di Rosenets sul Mar Nero, sollevando sospetti di contrabbando di armi e di combustibile, e fino a marzo 2024 la Bulgaria è stata l’unico membro dell’Ue a continuare a importare greggio da Mosca (in deroga alle sanzioni concordate in sede europea), anche se poi lo consegnava raffinato all’Ucraina tramite paesi terzi. Per giunta la forte dipendenza energetica dalla Federazione Russa comprime ulteriormente lo spazio di manovra di Sofia.
Secondo il Corruption Perceptions Index di Transparency International, la Bulgaria è la nazione più corrotta dell’Ue dopo l’Ungheria. Un terzo della popolazione adulta ha preso parte a episodi di corruzione.
Le procure, il Collegio dei procuratori del Consiglio supremo giudiziario e l’ufficio del procuratore nazionale vengono utilizzati da chi è al potere per affossare le indagini a proprio carico e ricattare chiunque non faccia parte della propria cordata.
Nonostante varie inchieste di osservatori indipendenti abbiano svelato l’esistenza di reti criminali di controllo del potere giudiziario ed esecutivo, nessun processo ha mai fatto seguito per punirne i responsabili.
Non è raro che i funzionari locali taglieggino le aziende del territorio in cambio del “permesso” di continuare a operare.
Gli organismi deputati al contrasto delle tangenti sono stati trasformati in una clava per reprimere il dissenso. Le grida, di manzoniana memoria, non mancano: tra organi locali e nazionali sono più di 245 le autorità di controllo. L’iperstratificazione legislativa è un’ulteriore spia di un sistema inefficiente.
La Procura Europea, il Meccanismo di Cooperazione e Verifica e il monitoraggio post-adesione da parte dell’Ue così come le sanzioni trasversali del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti si sono rivelati delle armi spuntate senza il sostegno della classe politica bulgara.
L’Unione Europea finora ha chiuso più di un occhio sulla corruzione in Bulgaria, malgrado la reiterata appropriazione indebita dei suoi fondi e le tante risorse finanziarie che continua a trasferire alle istituzioni di Sofia per rafforzare la loro capacità di tutela della legalità. Almeno in parte le risorse europee paradossalmente finiscono per rafforzare le organizzazioni criminali locali.
Nella speranza di un cambiamento, nel 2001 la Bulgaria aveva eletto primo ministro addirittura il suo ultimo monarca che aveva deposto ed esiliato nel 1946.
Lo stesso Borisov agli esordi aveva costruito la sua fortuna politica promettendo di estirpare la corruzione. Tuttavia i membri dei suoi governi sono più volte inciampati in indagini per appropriazione di finanziamenti dell’UE destinati allo sviluppo agricolo, infrastrutturale e alberghiero, sul quale i suoi esecutivi hanno puntato molto.
L’highlander della politica bulgara è stato inoltre accusato di essere stato legato alla Security Insurance Company, una compagnia assicurativa che fungeva da foglia di fico di un’organizzazione criminale dedita ai furti e alle estorsioni. Ripetutamente note interne di ambasciate straniere e report di osservatori indipendenti hanno tacciato l’ex primo ministro di contiguità coi principali esponenti della criminalità organizzata bulgara.
Già nel 2013 e nel 2020 – 21 Borisov, allora premier, è stato al centro di grandi proteste per accuse di corruzione, così come Peevski nel 2014 a seguito della sua designazione a capo dell’Agenzia statale per la sicurezza nazionale. Nel 2020 Peevski è stato l’involontario innesco delle manifestazioni contro Borisov per via della sua fruizione indebita della scorta statale e della sua vicinanza a un altro oligarca e precedente leader del Dps, Ahmed Dogan, che aveva abusivamente fatto di una spiaggia pubblica un lido di lusso a uso personale.
Il Dps in quel momento, pur non facendo parte della compagine ministeriale di Borisov, supportava tacitamente quest’ultimo in Parlamento.
Nell’ultimo decennio in Bulgaria i cortei oceanici sono diventati un abituale strumento di lotta politica che ha portato alle dimissioni di vari esecutivi in carica. Quest’ultimi a volte hanno provato a riequilibrare la situazione con delle contromanifestazioni in cui i dimostranti erano pagati e radunati tramite treni e autobus offerti dai partiti di governo.
In questo bailamme Rumen Radev, il presidente della Repubblica (che è eletto direttamente dai cittadini ma ha una funzione cerimoniale), ha sfruttato il vuoto di potere creatosi col rapido avvicendarsi degli ultimi esecutivi per perseguire un’agenda filorussa in politica estera, opponendosi a più riprese all’invio di armi in Ucraina e alle sanzioni contro la Russia.
Radev ha per di più posizionato suoi fedelissimi nelle caselle chiave della diplomazia bulgara in seno ai governi per il disbrigo degli affari correnti, riuscendo così a prevalere sui disegni di politica estera delle forze parlamentari.
In questo contesto, nonostante un tempo fosse nota come la “Silicon Valley” del blocco orientale, la Bulgaria è rimasta il paese col Pil pro capite più basso dell’Unione Europea, passando da un tasso annuo di crescita media del Pil del 6,9% tra il 2000 e il 2008 a uno del 2,8% nell’ultimo quindicennio.
La Bulgaria sembra avere perso la speranza nel domani. A causa della forte emigrazione e del crollo del tasso di fertilità registratosi negli anni ’90 (solo parzialmente recuperato di recente), la popolazione bulgara si è ridotta quasi del 30% negli ultimi 35 anni. I bulgari che vivono stabilmente all’estero sono più di ¼ della popolazione residente nella Repubblica che si affaccia sul Mar Nero.
Di fronte a questo scenario Peevski da quando è stato sanzionato dagli Usa, nella speranza di una riabilitazione, si è distinto per un infaticabile attivismo legislativo a sostegno dell’Ucraina e a ostacolo delle attività economiche e degli investimenti russi in Bulgaria.
Lo scorso mese il mogol ha ricevuto gli ambasciatori europei a Sofia per sanare la sua immagine di paria internazionale. In questa campagna elettorale ha inoltre provato a ribaltare la narrazione comune, proponendosi come il difensore delle istituzioni giudiziarie e di intelligence dalle “ingerenze” del partito liberale “Continuiamo il cambiamento”, nato sulla scorta delle proteste anticorruzione del 2020.
Queste gravi pregiudiziali non hanno impedito al leader del polo conservatore Gerb Borisov – già vigile del fuoco e guardia del corpo del dominus della Bulgaria comunista per oltre un trentennio Todor Zhivkov – di concedere numerose aperture all’ipotesi di un’alleanza postelettorale con Rinascita e Peevski, per tornare al timone dell’esecutivo per la sesta volta e sbarazzarsi di alcuni scheletri nell’armadio.
L’ex primo ministro ha inoltre provato a incunearsi tra le differenze che corrono tra “Continuiamo il cambiamento” e “Sì, Bulgaria”, per spaccare la loro alleanza elettorale.
Sia per le politiche che per le europee, Gerb è dato al 27% dalla media dei sondaggi realizzata dalla testata Politico. Rinascita, Dps e Continuiamo il cambiamento vengono invece accreditati ciascuno di circa il 15% delle intenzioni di voto.
La partita elettorale è resa impari dalla preponderanza di Peevski nel settore dei media, in cui controlla la metà dei quotidiani nazionali, numerosissimi siti, testate locali, emittenti radiotelevisive e concessionarie pubblicitarie nonché l’80% dei canali di distribuzione della stampa. Al livello trasversale vi è in più un estesissimo ricorso al voto di scambio e alle clientele elettorali.
Il Paese, eponimo della proverbiale maggioranza bulgara, appare imbrigliato in un gioco dell’oca in cui ritorna sempre al punto di partenza: le 4 elezioni precedenti hanno visto i due principali partiti, Gerb e Continuiamo il cambiamento, alternarsi tra i primi due posti, ricevendo a testa ogni volta circa 1/ 4 dei voti.
Al di là dei rapporti con la Russia, i capovolgimenti della politica bulgara stanno proiettando la loro forza destabilizzatrice al di fuori dei confini patrii.
Il fallito passaggio di testimone tra il liberale Nikolaj Denkov e la conservatrice Mariya Gabriel avrebbe garantito al Partito Popolare Europeo (di cui Gerb fa parte) un 13° voto in senso al Consiglio europeo in vista dei colloqui del 17 e 27-28 giugno sulla scelta del prossimo presidente della Commissione Ue, alla cui guida punta a essere riconfermata Ursula von der Leyen, in quota Ppe.
Può il battito di ali di una farfalla a Sofia provocare un terremoto politico a Bruxelles?