La segretaria del Partito democratico porta a casa un bottino non indifferente. A pensarlo però in coalizione, il Pd insieme ai Cinque Stelle e Avs “pesa” poco più del 40%, numeri non competitivi per una alternativa di governo, almeno per ora. Un buon punto di partenza, a cui manca un pezzo ancora… La rubrica di Pino Pisicchio
Diciamola tutta: fin dall’avvento della “straniera” alla segreteria del Pd, nel marzo del 2013, la prima presidente del Consiglio della storia italiana Giorgia Meloni instaurò una speciale linea di comunicazione – forse non si può dire di sorellanza, ma insomma non di ostilità – con la prima segretaria del partito erede di quel Pci che era stato per un secolo rigorosamente governato da uomini, Elly Schlein.
Ci fu un riconoscimento reciproco, innanzitutto della novità assoluta sulla scena politica italiana che comunque non cessa di ornarsi di orpelli vannacciani che celebrano l’in sé degli uomini duri: per la prima volta due leader di genere femminile a capo di maggioranza e opposizione. Forse anche una simpatia, un conato di gentilezza che fa la differenza con il machismo di cui sopra – rinverdito dalle cortesie gratulatorie di stamattina dopo i risultati europei – sicuramente anche un calcolo.
Entrambe le leader, non potendo realisticamente coltivare l’idea di un bipartitismo italiano, provano a insediare un bipolarismo a netta egemonia femminile e significativo stacco sugli alleati (veri o putativi): Giorgia fa quasi il 29 % e stacca Tajani di oltre 19 punti; Elly fa il 24% e stacca Conte di oltre 14 punti. Il fatto, però è che, mentre Meloni ha consolidato egemonia e governo con il 47,6 % andato alla triplice alleanza, Schlein offre un bottino coalizionale che mette insieme sicuramente l’ottimo 6,6% dei Verdi/Fratoianni, ma contabilizzando così solo il 30,6%. Se poi volessimo includere anche Conte, l’indocile e – sembrerebbe – ormai precario leader dei Cinque Stelle, arriveremmo al 40,5%, ancora lontano, senza apporto di altre forze, per contendere la vittoria alla presidente del Consiglio.
Qual è il calcolo di Meloni? A ben vedere nel menù del centrodestra c’è un discreto supermarket ideologico cui l’elettore può attingere: l’estrema destra sovranista salvinian-vannucciana, la destra doc dei Fratelli d’Italia, orgogliosa del suo passato di outsider ma col doppiopetto, la destra moderata europea di Forza Italia che strizza l’occhio al centro. Insomma: una macchina elettorale articolata. Cosa avverrebbe, invece nella casa dell’opposizione con il consolidamento dell’alleanza tra Pd, Cinque Stelle e Avs, tre formazioni abbastanza monocordi, ideologicamente identificate con la riva gouche del sistema politico italiano? Sarebbe alquanto difficile veder cascare un solo voto del popolo “centrista”, messo in fuga dal cupio dissolvi di Renzi, Bonino, Calenda, nella gerla della coalizione.
Con questi presupposti, allora, si comprende come il bipolarismo auspicato da Meloni e, almeno fino ad oggi, praticato da Schlein, faccia bene soprattutto a Meloni e ai suoi sodali. Ma possiamo veramente dire che la colpa sia di Elly? In fondo lei ha fatto il suo mestiere di esponente della sinistra/sinistra recuperando anche qualche ciuffo di voti scivolato tempo fa nel recinto pentastellato. D’altro canto una coalizione deve pur partire da qualcosa che già c’è e quel qualcosa non sarebbe proprio da buttar via, se supera il 40% tra Pd, Avs e Cinque Stelle.
Forse manca un pezzo ancora, ma quello non abita in questo territorio. È di là dagli alberi e oltre i fiumi. Una città – una volta grande, oggi spopolata alquanto per migrazioni di massa – abitata dal popolo dei centristi. Ci vorrà un esploratore e tanta buona volontà. Un domani, chissà.