Beniamino Irdi, nonresident senior fellow della Transatlantic Security Initiative presso l’Atlantic Council, interviene sul dibattito aperto dalla nostra intervista all’ex direttore del Sisde. Un nucleo di raccordo tra esigenze pubbliche e private potrebbe essere un tassello fondamentale di un puzzle più ampio, ovvero un Consiglio di sicurezza nazionale
Mario Mori ha ragione quando, intervistato da Formiche.net, sottolinea l’urgenza di un luogo di confronto tra pubblico e privato, tra governo e aziende, per rafforzare la proiezione internazionale delle imprese italiane. Il nucleo di “raccordo tra le esigenze del governo e quelle del settore privato” che l’ex comandante del Ros e direttore del Sisde propone potrebbe essere un tassello fondamentale di un puzzle più ampio.
Negli ultimi tre anni è cresciuta gradualmente la consapevolezza nell’establishment italiano della sicurezza e nel Paese in generale riguardo alle minacce ibride. Alcune di queste minacce sono disinformazione, attacchi cibernetici e penetrazione economica, quasi sempre parte di più ampie strategie asimmetriche e graduali adottate dagli avversari dell’Occidente.
Questi passi di consapevolezza sono stati seguiti da iniziative istituzionali rivolte al contrasto di singoli aspetti delle minacce, come l’istituzione nel 2021 dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, incaricata della cyber-resilienza, e le proposte agenzie dedicate alla disinformazione o alla sicurezza economica. Questo approccio è incompiuto e manca il punto centrale. Le minacce ibride hanno come comune denominatore lo sfruttamento dele vulnerabilità sistemiche delle società target, rendendo difficile sia l’attribuzione delle condotte ostili sia la predisposizione di una risposta efficace.
La Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza descrive la minaccia ibrida come “L’impiego combinato di tutti gli strumenti di cui dispone uno Stato sovrano (Diplomatico, Militare, Economico, Finanziario, Intelligence e Law Enforcement); il permanere dell’attaccante al di sotto di una soglia (rilevabile) di responsabilità, così da rendere difficoltosa sia l’attribuzione della condotta ostile, sia la predisposizione di un’eventuale risposta, e lo sfruttamento delle vulnerabilità sistemiche del target per tentare di condizionarne i processi strategici (decision making, esercizio del voto, libertà di espressione, etc.) ponendo in essere, anche attraverso il dominio cibernetico, operazioni di influenza e interferenza”.
Contrastare i singoli tasselli della minaccia è necessario ma non sufficiente. Considerato che il target delle minacce ibride è la società intera, è urgente che l’Italia, come suggeriscono i resoconti delle ultime riunioni del Consiglio supremo di difesa, e come già fatto dai principali Paesi occidentali, si doti di un organo di raccordo in cui sono rappresentati gli stakeholder della sicurezza nazionale nel suo senso più lato e moderno del concetto. In particolare, come ho sostenuto in un Policy Brief scritto per la Luiss School of Government, di un Consiglio di sicurezza nazionale, che sia permanente, tecnico e dipendente dalla presidenza del Consiglio – e dunque diverso dal Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica che ha carattere amministrativo e al più emergenziale. Una simile struttura permetterebbe all’Italia, oltre che di recuperare il gap rispetto ai Paesi alleati, di sviluppare una strategia di sicurezza nazionale coerente e coordinata per fronteggiare le complesse e mutevoli minacce ibride che caratterizzano il panorama globale e incarnano la più importante minaccia strategica alla sopravvivenza delle democrazie liberali.