Ci vorrebbe allora la mossa del cavallo: maggioranza e opposizione italiana a sostegno di un italiano di prestigio internazionale come Draghi, che include e supera ogni partizione politica. Solo così, forse si potrebbe anche introdurre in Europa un criterio di scelta che supera il bilancino stitico del riparto tra bandiere politiche, a prescindere, ovviamente, da qualità e prestigio delle personalità interessate. È un’utopia? La rubrica di Pino Pisicchio
Domanda preliminare: come abbiamo chiamato la maggioranza a tre colori, rosso socialista, blu popolare e bianco scavato nel blu di Renew che ha retto il governo d’Europa dal 2019? Risposta preliminare: Ursula. Bene, passiamo alla seconda: come si chiama la nuova candidata alla presidenza della Commissione europea per il prossimo quinquennio? Ursula Von der Leyen.
Ancora: cosa è cambiato rispetto al precedente assetto politico? Si è verificato, ad esempio, quel travolgente assalto delle destre in grado di ribaltare l’equilibrio dell’Ue? Le due formazioni della destra/destra, quella conservatrice a guida Meloni (Ecr, che passa da 69 a 73 eletti) e quella sovranista-reazionaria che annovera la Le Pen e Matteo Salvini tra i suoi riferimenti (ID, da 49 a 58) insieme fanno 131 seggi, con un incremento di 13 rispetto alla passata legislatura: un aumento che sul fronte interno francese e tedesco forse pone problemi, ma certamente non squassa il quadro europeo. Perché la maggioranza Ursula può contare su 400 eletti a fronte del minimo sindacale di 361. È un vantaggio piccolo? Una specie di mantra ha raccontato in Italia che quella quarantina di deputati in più sarebbero poca cosa per via del pericolo di franchi tiratori, e che dunque questa paventata precarietà renderebbe prezioso l’apporto dei voti della premier italiana, nonché leader di Ecr.
Evidentemente, però, i narratori avevano in mente un altro film, con una regia italiana, perché in Europa non va così: quaranta voti di vantaggio sono un decentissimo viatico per attraversare illesi una legislatura. Il problema, semmai, si pone per la leader italiana che si troverebbe ad assicurare i suoi voti ad Ursula intuitus personae, voti che resterebbero “aggiuntivi” e, peraltro, non graditi a socialisti e macroniani. Di più: la Meloni, leader dei Conservatori Europei, si troverebbe a compiere un gesto non assistito dalla condivisione del suo Gruppo parlamentare. Insomma: una situazione difficile che racconta come anche l’indubbio successo mediatico del G7, oltre che quello elettorale che lo ha preceduto, non riescano a far superare le colonne d’Ercole di una estraneità all’equilibrio del governo europeo, fedele ad un patto di sicura caratura europeista, non rassicurata dai compagni di strada della Meloni.
La cena dei leader, dunque, potrebbe sanzionare una condizione del tutto marginale dell’Italia, che sicuramente porterà a casa un commissario europeo, perché questo non potrà essere negato, ma il cui ruolo, portafoglio, delega, non è affatto detto che appartengano alla “prima scelta”.
Il quadro delle scelte che contano, infatti, vedrebbe oltre la conferma di Ursula, anche quella della presidente del Parlamento Metsola, entrambe del Ppe, della nomina della estone Kallas di Renew che andrebbe a ricoprire il ruolo di “ministra degli Esteri”, e di quella del portoghese Costa, destinato alla presidenza del consiglio europeo in quota socialista. Stiamo rischiando di arretrare in un passaggio cruciale della Ue, chiamata a rivedere i suoi Trattati per dare uno slancio nuovo e un vigore necessario ad una Europa che se non fa passi decisivi verso il federalismo rischia la marginalità assoluta nel nuovo ordine mondiale.
Ci vorrebbe allora la mossa del cavallo: maggioranza e opposizione italiana a sostegno di un italiano di prestigio internazionale come Draghi, che include e supera ogni partizione politica. Solo così, forse si potrebbe anche introdurre in Europa un criterio di scelta che supera il bilancino stitico del riparto tra bandiere politiche, a prescindere, ovviamente, da qualità e prestigio delle personalità interessate. È un’utopia?