La vicenda di Julian Assange offre spunti di riflessione sullo stato di salute della libertà di stampa nel mondo occidentale, ma anche dell’impreparazione dell’opinione pubblica al complesso sistema id comunicazione odierno
La liberazione del fondatore di WikiLeaks Julian Assange rappresenta un’importante occasione di riflessione.
Nella vicenda della liberazione, è stato fondamentale il ruolo di Stella Assange, moglie di Julian e avvocato specializzato in diritti umani.
Ho avuto modo di ascoltarla al “Wired Next Fest” di Milano lo scorso 16 giugno.
Nell’occasione ha definito il caso Assange “come un pericoloso attacco alla libertà di stampa a livello globale”, mettendo in luce la battaglia dell’estradizione tra Gran Bretagna e Stati Uniti e ricordando i rischi per la salute di Julian, in conseguenza delle rigide condizioni di detenzione.
Nell’occasione, Stella Assange ha anticipato l’iniziativa del primo ministro australiano Anthony Albanese che stava ricercando una soluzione diplomatica anche in conseguenza dell’attività di vasti movimenti di opinione, citando l’Italia come esempio di efficace mobilitazione a livello internazionale.
Infatti, la vicenda di Assange ha sollevato in tutto il mondo questioni cruciali nell’era digitale che oggi sono più importanti che mai: il rapporto tra sicurezza nazionale e libertà di informazione, il ruolo del giornalismo investigativo tra insopprimibili diritti dei cittadini e necessaria tutela degli interessi degli Stati.
In ogni caso, Julian Assange ha dimostrato che la realtà sta da una parte e la percezione pubblica della realtà esattamente dall’altra.
Questo accade perché l’eccesso dell’informazione e il basso livello sostanziale di istruzione dei cittadini determinano un corto circuito cognitivo che allontana ancora di più le persone dalla sempre difficile comprensione della realtà.
In particolare, Assange ha messo in luce, attraverso migliaia di comunicazioni svelate da Wikileaks, che le dichiarazioni dei governi non sono sempre coincidenti con le loro reali attività.
Questo, al di là del legittimo e indispensabile interesse nazionale, pone in evidenza come uno dei principali vettori di disinformazione non sia rappresentato dalle fake news bensì, come anticipava nel 1993 Regis Debray nel suo fondamentale volume “Lo Stato seduttore”, dalla comunicazione istituzionale degli Stati, oltre che da quella commerciale delle multinazionali.
Riflettere quindi su questa vicenda significa dibattere su un tema decisivo delle democrazie contemporanee che rischiano di essere sempre più vittime della disinformazione.
Ma di quella interna, più che di quella esterna.
(In copertina Mario Caligiuri e Stella Assange)