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Chi è Keir Starmer, il nuovo primo ministro britannico

Nato nel 1962 e cresciuto in una famiglia in ristrettezze economiche a Oxted, roccaforte dei Tories. Primo in famiglia a frequentare l’università. Avvocato esperto di diritti umani, già procuratore per l’Inghilterra e il Galles. Nel 2015 il salto in politica, dal 2020 leader del Labour. Ecco cosa la sua agenda

Keir Rodney Starmer ha raccontato nel 2015 di non essere certo che sia vero. Forse il suo primo nome, di origini gaeliche, gli è stato dato dai genitori, sostenitori del Labour, in onore di Keir Hardie, fondatore e primo leader del partito. Il secondo nome, invece, è lo stesso del padre, un burbero attrezzista, che dalla moglie Josephine ha avuto quattro figli.

Keir Starmer è nato, il 2 settembre 1962, a Southwark, quartiere di Londra, ma è cresciuto a Oxted, cittadina della contea del Surrey, storica roccaforte blu, cioè dei Tories, in una famiglia che viveva in ristrettezze economiche. La madre ha sofferto di una malattia cronica, il morbo di Still, che provoca diversi disturbi come febbre alta, rash cutaneo, mal di gola e dolore articolare e muscolare. È stato prendendosi cura di lei in ospedale che il figlio ha maturato il suo convinto sostegno al servizio sanitario nazionale poi diventato un punto fisso del suo manifesto.

È stato il primo in famiglia a frequentare l’università. Ha studiato legge all’Università di Leeds e a Oxford. Si è occupato di diritti umani prima di diventare procuratore capo per l’Inghilterra e il Galles dal 2008 al 2013. È stato nominato Sir per il lavoro svolto lì, al Crown Prosecution Service. Ma non gli piace chi, per attaccarlo, utilizza quel titolo prima del suo nome, Sir Keir Starmer, per dipingerlo come uomo dell’élite e fuori dal mondo. Lo hanno fatto spesso i conservatori. Lui preferisce ricordare le sue radici umili, mettendole in implicito contrasto con quelle del suo sfidante, l’ex ormai ex primo ministro Rishi Sunak, un ex banchiere di Goldman Sachs sposato con la figlia di un miliardario. Il venerdì sera per Starmer è in famiglia, con la moglie Victoria Alexander, anche lei avvocato, e i due figli, un ragazzo di 16 e una ragazza di 13. Una famiglia che il leader laburista prova a tenere lontana dai riflettori, anche se nei giorni scorsi i Tories l’hanno attaccato come “premier part-time” per aver detto di voler continuare a ritagliarsi “del tempo” per i figli.

È entrato in politica a 50 anni ed è stato eletto alla Camera dei Comuni nel 2015. Si ritrovato spesso in disaccordo con il leader del partito Jeremy Corbyn, esponente della sinistra più radicale. È arrivato a lasciare i vertici del partito per divergenze. I vertici, non il partito: perché “i leader sono temporanei, ma i partiti politici sono permanenti”, e dunque meglio lavorare per il cambiamento dall’interno. Ha comunque accettato di essere il portavoce laburista per la Brexit durante la leadership di Corbyn. È da lui che ha preso le redini del Labour nel 2020, dopo che alle elezioni del 2019 il partito aveva registrato il peggior risultato dal 1935.

Corbyn, dopo le accuse di antisemitismo, ha lasciato il partito e si è candidato da indipendente vincendo nella constituency di Islington North, che rappresenta dal 1983. Starmer, invece, ha ereditato la leadership di un partito noto per le divisioni interne e ha cercato di compattarlo con il mantra “Il Paese prima del partito”. Una sfida interna che si è intrecciata con quelle esterne: la pandemia Covid-19; l’uscita al rallentatore dall’Unione europea; l’invasione russa dell’Ucraina e le sue conseguenze a partire da quelle economiche; le turbolenze economiche nel 2022 nei 49 giorni governo di Liz Truss, che ha fatto in tempo a giurare nelle mani di Elisabetta II, due giorni prima della morte della sovrana, come suo ultimo primo ministro; per non parlare di inflazione e scioperi nel settore pubblico.

Come ha scritto nell’autunno scorso John Cassidy sul New Yorker, Starmer è “difficile da incasellare”. Su combustibili fossili e sussidi per i posti di lavoro nel settore delle energie verdi è molto vicino all’attivismo industriale dell’amministrazione statunitense di Joe Biden. L’impegno a rimuovere le restrizioni urbanistiche sulla costruzione di case e ad accelerare le richieste di pianificazione per i grandi progetti edilizi mostra un’inclinazione più laissez-faire. Il suo obiettivo è stimolare la crescita dell’economia britannica, in affanno sin dalla crisi globale 2007-2008. “Non il controllo dello Stato, non il libero mercato puro”, ha detto Starmer nel suo discorso al conferenza di partito a ottobre. “Ma una vera e propria partnership, a maniche rimboccate, che lavora per l’interesse nazionale”.

Può essere definito come pragmatico, forse centrista, sicuramente più di Corbyn. Di certo, non ha il carisma di Tony Blair: per Chris Mason della BBC, ha reso il suo partito “perfino noioso”. Neppure Sunak, va detto, ha brillato per carisma in questi anni da premier né tantomeno durante la campagna elettorale). Ma, “visto il trambusto che i britannici hanno dovuto sopportare dopo il referendum sulla Brexit nel 2016, un po’ di noia credo che non andrebbe tanto male all’opinione pubblica”, ha osservato Tim Bale, politologo della Queen Mary University di Londra, citato da Associated Press.

Starmer ha promesso di cambiare tutto rispetto ai precedenti governi conservatori, tranne il sostegno all’Ucraina davanti all’aggressione russa. Lo hanno ribadito negli ultimi mesi, in più occasioni e in più parti del mondo, David Lammy e John Healey da segretari ombra rispettivamente agli Esteri e alla Difesa. In politica estera probabilmente rimetterà mano all’Integrated Review del 2021 diventata poi Integrated Review Refresh l’anno scorso, il documento strategico del governo, e cercherà un riavvicinamento con l’Unione europea, in particolare per rendere davvero frictionless gli scambi. Intanto, tra pochi giorni sarà già chiamato a un impegno importante: il suo primo summit Nato, a Washington, per il 75° anniversario dell’alleanza. Due settimane dopo, invece, ospiterà al Blenheim Palace la quarta riunione della Comunità politica europea.

Sul fronte interno dovrà trovare risposte alla crisi abitativa e alle difficoltà del settore pubblico, in particolare del servizio sanitario. Ma non avrà molto spazio di manovra: il rapporto tra debito e prodotto interno è praticamente del 100% e il nuovo premier ha promesso pubblicamente di non aumentare nessuna delle imposte primarie. Servirà, dunque, una revisione del fisco.

La pagina Brexit è stata volta. La crisi del Partito nazionale scozzese sembra mettere in congelatore l’ipotesi di un nuovo referendum sull’indipendenza della Scozia. I Tories sono alla fine di un ciclo, divisi e senza idee dopo 14 anni di governo e lotte fratricide. C’è chi è pronto a scommettere che il Labour e Starmer siano destinati a un decennio al potere.



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