Per la prima volta dall’inizio della guerra civile la Siria ha messo tutti d’accordo. Sostanzialmente identiche le valutazioni di alleati e oppositori di Assad sui recenti avvenimenti di Damasco. Attaccando il quartier generale delle forze di sicurezza i ribelli hanno centrato la sala dei bottoni del regime. Il quarto giorno dell’offensiva contro la capitale è anche quello che segna il primo colpo al cuore dell’amministrazione siriana. Il livello delle vittime, due ministri, un ex ministro e soprattutto un potente e temuto esponente della famiglia presidenziale, scuote le fondamenta del regime e potrebbe segnare l’inizio della fine del dominio del partito Baath e del clan alavita che lo domina da decenni. Anche Assad secondo le ultime indiscrezioni potrebbe aver lasciato Damasco mentre sua moglie sarebbe volata in Russia.
Fallimento dei servizi
Il fallimento di servizi segreti e di sicurezza, finora salde colonne del regime, è clamoroso. La rete degli informatori non è riuscita a prevenire l’ingresso nella capitale di ribelli e armi. Ancora ignota l’identità di colui che mercoledì ha fatto esplodere una bomba nel quartier generale delle forze di sicurezza, presumibilmente nella sala dell’unità di crisi. Uno smacco che cancella l’aurea di onnipotenza e controllo totale del territorio che la capillarità dei servizi segreti aveva trasmesso al regime. Il vero terremoto viene dalla fine del ministro della difesa, Daoud Rajha, e da quella di Assef Shawkat. È soprattutto la morte del cognato del presidente ad amplificare la potenza della bomba. Assef Shawkat, come la famiglia Assad e la maggior parte dei responsabili dei servizi segreti era un alavita ma di umili origini. La lotta per entrare a far parte delle elite e la cieca lealtà che aveva assicurato alle elite dirigenti lo avevano reso il coordinatore di fatto di tutte le strutture della sicurezza siriana. In quanto capo delle repressione era personaggio molto odiato e la sua scomparsa rappresenta una gigantesca vittoria nella guerra di propaganda in atto nel paese mediorientale. Quanto accaduto nella capitale non ha però spezzato l’indiscussa superiorità dell’esercito regolare siriano. Le truppe d’elite al comando del fratello del capo dello stato continuano a circondare Damasco senza prendere parte ai combattimenti.L’attacco di Damasco smonta la tesi secondo cui gli attentati compiuti finora in Siria sarebbero stati compiuti da strutture suicide su incarico del potere al fine di diffamare l’opposizione dipinta come una accozzaglia di fanatici terroristi. Una teoria diffusa soprattutto da osservatori che rivedevano nella mancanza di scrupoli della dirigenza di Damasco la tattica già utilizzata nella guerra in Libano. Sarà ora interessante notare cosa accadrà tra le figure di spicco dell’elite ufficiale siriana. Finora è stato relativamente semplice lasciare per gli ambasciatori che dall’estero voltavano le spalle al regime senza rischiare molto. Più difficile venire allo scoperto per gli oppositori interni. Soprattutto ora che il regime potrebbe iniziare a contare i giorni che lo separano dal crollo le vie di fuga saranno sempre più strette.
Manaf Tlass gioca per Mosca?
L’attacco a Damasco è avvenuto a dodici giorni dalla defezione del generale Manaf Tlass. Un abbandono che si è rivelato una pugnalata per Damasco. A distanza di ventiquattrore dai colpi ricevuti dal regime questo militare da sempre appartenente alla cerchia degli intimi di Assad, augura al proprio paese “una fase di transizione costruttiva”. Nessun annuncio di passaggio all’opposizione e nessun invito al presidente Assad a lasciare il potere. Parole nettamente diverse da quelle pronunciate dall’ex ambasciatore siriano in Iraq, Nawaf Al-Fares, che aveva abbandonato invitando ad abbattere il “sistema totalitario”. Secondo le Monde Tlass farebbe parte di un gioco diplomatico messo su in fretta e furia da chi teme il crollo improvviso di Assad e cerca il riposizionamento. Ma se davvero la fine della dirigenza ufficiale siriana fosse vicina chi ha sostenuto il crepuscolo di Assad, soprattutto Russia e Iran, si troverebbe di colpo in mano solo pistole scariche. Mosca perderebbe legami che risalgono ai tempi sovietici. Per Teheran diminuirebbero le possibilità di influire non solo in Siria ma, passando per il Libano e la striscia di Gaza, fino in Palestina. Con la differenza che mentre l’Iran resterà nella regione la Russia se ne allontanerebbe per molto tempo.