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Underground warfare, ecco la sfida tattica e tecnologica

Di Filippo Del Monte

Combattere in grandi agglomerati urbani implica la certezza di dover affrontare il nemico anche in scenari sotterranei, non bypassabili e obbligatoriamente da bonificare, con i rischi e le difficoltà che questo comporta, anche per evitare che essi costituiscano una minaccia sia per le truppe in superficie che per quelle che debbano operare sottoterra successivamente. L’analisi di Filippo Del Monte, Geopolitica.info

Alcune delle guerre che si sono combattute o che si stanno combattendo, almeno dall’ultimo ventennio, come Afghanistan, Iraq, Siria, Ucraina e Gaza, giusto per citarne alcune, stanno portando ad una rinnovata centralità della underground warfare, dunque dei combattimenti sostenuti in aree compartimentate e sotterranee. Non solo le reti di tunnel scavati da formazioni di guerriglieri (Anbar e i quartieri Dora e Ameriya di Baghdad; la rete di Cu Chi in Vietnam; i tunnel scavati da Hamas nella Striscia di Gaza) ma anche le grandi infrastrutture sotterranee delle grandi città, come metropolitane, fogne e underground plants possono essere scenari di scontri oggi e nel prossimo futuro.

Gli ambienti sotterranei sono privi di illuminazione naturale, estremamente compartimentati e ristretti, difficilmente percorribili e umidi. Sotto il profilo prettamente operativo, le capacità di coordinamento e gestione del fuoco vengono limitate, così come il movimento. Le testimonianze dei soldati israeliani incaricati di individuare, ripulire e distruggere i tunnel di Hamas e dei suoi alleati durante l’Operazione Protective Edge del 2014 sono emblematiche: i bombardamenti aerei e le operazioni in superficie sono inefficaci per la neutralizzazione dei tunnel; i robot utilizzati per le ricognizioni perdevano i contatti a 100 metri di distanza; la pressione dell’aria ha ridotto l’efficacia degli esplosivi.

Occorre, poi, tenere presenti le difficoltà dei soldati in un combattimento sottoterra, dove la minaccia è multidimensionale ed in uno spazio ristretto. L’elemento di indeterminatezza permea ogni aspetto delle operazioni underground, dal livello strategico a quello tattico, coinvolgendo anche quello tecnico e degli equipaggiamenti, e “in gradi esponenzialmente più alti rispetto alle operazioni in superficie”, ha scritto Daphné Richemond-Barak nella sua monografia “Underground Warfare” (2017), sottolineando anche come “una volta dentro un tunnel, un soldato è molto solo”.

Un aspetto che sta emergendo nelle riflessioni tecniche sul tema è la vicinanza ed interazione sul campo di battaglia tra presenza diffusa di popolazione civile e infrastrutture sotterranee ove dover combattere. Casi del genere già emersi sono stati quelli di Baghdad nel 2003, che hanno coinvolto talebani ed esercito statunitense; Fallujah nel 2004, tra miliziani di al-Qaeda e anglo-iracheno-americani; Mosul, tra iracheno-curdi e Stato islamico e Marawi, tra esercito filippino e Stato islamico, entrambe nel 2017; e gli esempi più recenti delle battaglie di Kyiv e Mariupol nel 2022, durante la guerra russo-ucraina in corso.

Combattere in grandi agglomerati urbani implica la certezza di dover affrontare il nemico anche in scenari sotterranei, non bypassabili e obbligatoriamente da bonificare, con i rischi e le difficoltà che questo comporta, anche per evitare che essi costituiscano una minaccia sia per le truppe in superficie che per quelle che debbano operare sottoterra successivamente.

L’US Army ha pubblicato l’ultimo aggiornamento dottrinale relativo alla guerra sotterranea nel 2019, estendendo al livello di brigata le normative che, precedentemente, erano limitate – per la natura stessa della underground warfare ma generando una grave lacuna – massimo al livello di battaglione, ma rivolte principalmente a plotoni e unità. L’Esercito Italiano sta rivolgendo la propria attenzione allo sviluppo, sia concettuale che pratico, di capacità operative in ambienti congested-connected-contested. Una parte della teoria ha definito l’underground come un dominio a sé stante, sganciato da quello terrestre (come sempre più spesso si dice per underwater e dominio marittimo di superficie) e che richiede, quindi, anche un impianto dottrinario e risposte tattiche diverse.

Le operazioni underground rappresentano anche una sfida tecnologica, perché quelle che sono considerate tecnologie irrinunciabili e “game changer” in superficie, anche in scenari CQC e CQB, hanno dato risposte diverse – spesso non positive – in ambienti sotterranei. Da questo punto di vista, sforzi importanti sono richiesti sia in campi “tradizionali”, come quello delle protezioni balistiche, sia in ambiti Cema, AI e unmanned.



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