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Green Deal, sfide e soluzioni per la Commissione Ue. Scrive Clini

Di Corrado Clini

Il pacchetto del Green Deal include la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici approvata dal Parlamento europeo nel 2021. Ma le misure necessarie per affrontare gli eventi climatici estremi restano marginali nelle politiche europee. Come prevenire il climate divide ed evitare la doppia dipendenza della decarbonizzazione? L’analisi di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Proteggere i territori dell’Europa dagli eventi climatici estremi ed evitare la “doppia dipendenza” della decarbonizzazione. Nel pacchetto del Green Deal è compresa la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, approvata dal Parlamento europeo nel 2021. Ma Ursula von der Leyen ha riservato solo poche parole “di circostanza” sugli effetti degli eventi climatici estremi, con l’annuncio di un piano che dovrebbe essere finalizzato a “supportare gli Stati Membri”.

Insomma le misure di adattamento necessarie per far fronte all’accelerazione in Europa nella frequenza e nell’intensità degli eventi climatici estremi restano ai margini delle politiche europee e a carico prevalentemente dei singoli Stati Membri.

Questo è un errore di valutazione sulle priorità. I dati pubblicati dall’Agenzia europea dell’ambiente e dal Joint research center della Commissione europea rilevano che:

  • nell’ultimo decennio la temperatura in Europa è cresciuta più velocemente rispetto alle altre regioni del pianeta: l’aumento è di circa 2,5°C, già un grado oltre il limite di 1,5°C indicato dalla comunità internazionale e, da ultimo, dal G7 come obiettivo non superabile per la sicurezza del clima;
  • crescono i danni provocati dagli eventi climatici estremi (Copernicus Climate Change Service -C3S) in termini sia di perdite di vite umane, sia di danni rilevanti alle infrastrutture e agli insediamenti urbani, senza considerare la crisi di produttività agricola;
  • i costi degli eventi estremi hanno già superato i 52 miliardi di euro, ben oltre i livelli previsti per metà secolo nel caso in cui l’aumento della temperatura media del pianeta fosse contenuto in 1,5 °C (nel 2050, 40 miliardi di euro l’ anno secondo il Joint research center della Commissione europea).

Il costo medio per abitante in Europa è di circa di 120 euro con molte variazioni: in Italia si è raggiunto il valore record di 284 euro, in Spagna di 221 euro, in Ungheria 214 euro (European House Ambrosetti).

Considerando il trend attuale dell’aumento della temperatura (2-3°C) si può prevedere il raddoppio dei costi annuali entro la prossima decade.

L’aumento della temperatura è attribuito alla crescita della concentrazione di Co2 in atmosfera e, di conseguenza, la decarbonizzazione dell’economia dovrebbe essere la strategia giusta.

Ma, purtroppo, i tempi e gli effetti della decarbonizzazione sono troppo lunghi per ridurre i costi del cambiamento climatico, come è ricordato nella premessa della Strategia europea per l’adattamento “Arrestare tutte le emissioni di gas a effetto serra comunque non impedirà gli effetti dei cambiamenti climatici che sono già in atto e che proseguiranno per decenni”.

I dati suggeriscono che la priorità per l’Europa è la protezione dei suoi territori dagli eventi climatici estremi.

Le misure per l’adattamento sono trasversali a tutti i settori dell’economia e, diversamente da quanto avvenuto fino ad ora, non sono le “pezze” per ristabilire la situazione preesistente ma il risultato di progettazione e tecnologie innovative per modificare gli usi del suolo e le infrastrutture “critiche” del secolo scorso e dei secoli precedenti che non reggono l’impatto del nuovo regime climatico:

  • adeguare o rilocalizzare le infrastrutture (acqua, energia, ferrovie e autostrade, reti elettriche) esposte ad alluvioni e frane;
  • proteggere le coste del Mediterraneo e dell’Atlantico dall’erosione e dall’innalzamento del mare (l’Italia conosce le difficoltà e i costi del Mose di Venezia);
  • de-cementificare le aree urbane per aumentare il drenaggio delle acque;
  • conservare le acque di pioggia con bacini di laminazione e realizzare desalinizzatori dell’acqua del mare per  assicurare la fornitura di acqua per agricoltura e industria in periodi di siccità;
  • proteggere gli ecosistemi naturali e le produzioni agricole della regione mediterranea e del sud Europa anche con l’impiego di colture resistenti alla tropicalizzazione e al degrado dei suoli;
  • proteggere gli ecosistemi naturali nelle regione montuose (Alpi, Pirenei, Carpazi) dai rischi di desertificazione per lo scioglimento dei ghiacciai;
  • proteggere le foreste dalle già estese patologie connesse alla combinazione delle stress termico con l’azione di parassiti e insetti e progettare la riforestazione delle aree devastate dagli eventi climatici estremi.

Questa è un’urgente priorità, perché i rischi e i danni degli eventi climatici estremi stanno già generando un “climate divide” dell’Europa se le azioni di prevenzione e recupero restano affidate prevalentemente ai bilanci nazionali.

È necessario un programma comune europeo, finanziato con fondi comuni e gestito in modo coordinato al fine di evitare che il cambiamento climatico possa diventare un ulteriore fattore disgregante per l’unità dell’ Europa.

Evitare la doppia dipendenza della decarbonizzazione

Quando la Commissione europea ha lanciato il Green Deal nel dicembre 2019, il percorso “lineare” verso la decarbonizzazione era supportato da due riferimenti “sicuri”:

  • collaborazione con la Cina sia per l’approvvigionamento di materie prime e prodotti sia per lo sviluppo congiunto di tecnologie innovative nel quadro della consolidata cooperazione sul cambiamento climatico avviata nel 2013 con l’Agenda Strategica UE-CINA 2020;
  • l’approvvigionamento di gas dalla Russia per sostituire il carbone e come back-up delle fonti rinnovabili, previsto in espansione con la realizzazione del Nord Stream 2 per rifornire direttamente la Germania.

Ma solo un anno dopo, a partire dal 2021, il contesto globale nel quale era collocato il Green Deal è rapidamente cambiato.

Il progressivo deterioramento dei rapporti tra Ue e Cina

Alla fine del 2020, la Commissione europea ha annunciato la conclusione positiva del negoziato con la Cina sull’accordo globale sugli investimenti (Comprehensive agreement on investment-Cai), durato sette anni.

“L’accordo garantisce agli investitori europei un maggiore accesso al mercato cinese. Nell’accordo, la Cina si è impegnata a garantire un trattamento più equo per le imprese europee, consentendo loro di competere in condizioni di maggiore parità in Cina. Questi impegni riguardano le imprese statali, la trasparenza dei sussidi e le norme contro il trasferimento forzato di tecnologia. La Cina ha inoltre accettato disposizioni sullo sviluppo sostenibile, compresi impegni sul clima e sul lavoro forzato” (Commissione Ue, 30 dicembre 2020).

Il Parlamento Europeo ha congelato la Cai nel maggio 2021 a causa dell’opposizione di gruppi di parlamentari che avevano sollevato due obiezioni:

  • le scarse garanzie per il rispetto dei diritti civili, considerata la situazione nello Xinjiang, all’origine nel marzo 2021 allo scambio di sanzioni da parte della UE sui funzionari cinesi e della Cina su membri del Parlamento europeo;
  • la preoccupazione per i potenziali danni alle relazioni transatlantiche.

Tuttavia, dal 2021 a oggi è in continua crescita l’approvvigionamento europeo dalla Cina di materie prime critiche (Crm), tecnologie e prodotti (tecnologie per le rinnovabili, batterie, auto elettriche) necessari per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, ovviamente senza un quadro di riferimento di regole condivise.

Anche se l’Unione europea ha adottato la Critical Raw Materials Act nel marzo 2024, “per aumentare e diversificare l’offerta di materie prime critiche, rafforzare la circolarità, sostenere la ricerca e l’innovazione sull’efficienza delle risorse e lo sviluppo di sostituti”, gli obiettivi di decarbonizzazione a breve termine confermati e rafforzati (2030-2040) da Ursula von der Leyen non sono compatibili con i tempi di un’eventuale maggiore estrazione e lavorazione di minerali critici e terre rare da parte dei Paesi europei o dei Paesi al di fuori della “rete internazionale dei minerali critici” della Cina.

Allo stesso modo, nonostante il Carbon adjustment mechanism e le recenti misure “anti-dumping” sui prodotti cinesi, l’Europa non sembra in grado di essere competitiva nella produzione di pannelli fotovoltaici, batterie, turbine eoliche e auto elettriche sulla base delle materie prime e delle tecnologie disponibili.

Né gli Stati Uniti, nonostante gli investimenti sostenuti dall’Ira, riescono a coprire la domanda europea di tecnologie e prodotti “verdi”.

Occupazione dell’Ucraina e REPowerEU

Tra il 2022 e la metà del 2023, l’Europa ha dovuto sostituire rapidamente il 45% delle forniture di gas naturale provenienti dalla Russia. Il quadro di riferimento per la sicurezza energetica adottato dall’Europa nel maggio 2022 è REPowerEU, finalizzato prioritariamente a:

  • eliminare gradualmente le importazioni russe di combustibili fossili;
  • risparmiare energia;
  • diversificare gli approvvigionamenti energetici;
  • aumentare la quota di energie rinnovabili nel consumo energetico complessivo dell’Ue, raddoppiando la quota di energia rinnovabile del 2022.

Due sono stati gli effetti più immediati di REPowerEU:

  • triplicazione della fornitura di Gnl (60% dagli Usa, 30% dal Qatar e altri). Se si considerano gli investimenti in corso per la realizzazione di rigassificatori, secondo un recente rapporto di Institute for energy economies and financial analysis (Ieefa), nel 2030 la capacità dei terminali sarà superiore di oltre il 76% rispetto alla domanda europea prevista di gas;

  • le energie rinnovabili hanno rappresentato il 44,7% di tutta la produzione di elettricità generando 1,21 milioni di GWh con un aumento del 12,4% rispetto al 2022 (Eurostat).

Inoltre, REPowerEU assegna un ruolo significativo all’idrogeno rinnovabile, prevedendo la produzione di 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile entro il 2030 e l’importazione di altrettante tonnellate dal Nord Africa, con la costruzione di gasdotti per l’idrogeno per almeno almeno 20.000 chilometri.

Ovviamente, l’idrogeno rinnovabile rientra nella stessa filiera di produzione di energia da fonti rinnovabili.

Una doppia dipendenza?  

In conclusione, il presidente della Commissione ha dimenticato di sottolineare che la continuità con le politiche energetiche del quinquennio precedente pone l’Europa di fronte al rischio di una doppia dipendenza: dalla Cina nella fornitura della maggior parte dei materiali e delle tecnologie cruciali per la transizione verde, e in alternativa da fornitori di Gnl (principalmente Usa) contestualmente al rallentamento del processo di decarbonizzazione.

Non è possibile far finta di niente. Abbiamo due opzioni:

  • Cooperazione e costruzione di una rinnovata piattaforma Ue-Cina-Usa sul cambiamento climatico

L’Europa può ricostruire una cooperazione scientifica e tecnologica attiva con la Cina, sia per concordare le regole del commercio delle tecnologie verdi, sia per la ricerca e lo sviluppo congiunto delle tecnologie di decarbonizzazione più efficienti e a basso costo, nel contesto globale dell’accordo di Parigi. Questo potrebbe essere il contesto giusto per rinvigorire la leadership europea e per aprire la strada a una rinnovata piattaforma Ue-Cina-Usa, nello spirito di Glasgow, aperta alle economie del G20, per superare i costi molto elevati e i modesti effetti del “decoupling” nella decarbonizzazione dell’economia globale.

  • Conflitto e decoupling

L’Europa potrebbe trovarsi nella scomoda posizione di subire le conseguenze di un contesto geopolitico che imponga la drastica riduzione degli approvvigionamenti dalla Cina, il rinvio del processo di decarbonizzazione ai tempi imprevedibili del recupero del gap tecnologico con la Cina, la crescente dipendenza sulle forniture di GNL.

Questo è lo scenario peggiore, perché la capacità dell’Europa di promuovere e sviluppare soluzioni competitive nel mercato globale della decarbonizzazione sarà ulteriormente ridotta.

I due scenari fanno da sfondo al contesto nel quale vanno collocate alcune delle questioni specifiche sulla decarbonizzazione, dalla neutralità delle tecnologie al programma appena annunciato per la promozione delle tecnologie pulite.

Non aspettiamo che siano gli altri a decidere le scelte dell’Europa.

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