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Espulsione della Turchia dalla Nato? La richiesta di Israele spiegata da Silvestri

Il presidente turco Erdogan ha minacciato Israele di inviare mercenari in risposta agli attacchi nella Striscia di Gaza. In reazione, Israele ha chiesto alla Nato di escludere la Turchia dall’alleanza. Ma come si posiziona l’Alleanza Atlantica in questa dinamica? “Se la situazione dovesse sfuggire di mano e la guerra diventasse generale, i grandi interessi strategici che dominerebbero il conflitto non sarebbero quelli locali”, sottolinea Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali e direttore editoriale di AffarInternazionali

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha minacciato Israele con un’azione militare, suggerendo l’uso di mercenari reclutati da gruppi ribelli siriani filo-turchi. La minaccia arriva nel contesto delle tensioni e degli attacchi nella Striscia di Gaza, dove la Turchia ha una posizione storicamente critica nei confronti delle politiche israeliane nei territori palestinesi. Questo episodio segue una lunga serie di critiche turche già avanzate verso Israele per il trattamento dei palestinesi e le operazioni militari nella regione.

La reazione di Israele è stata immediata. Il ministro degli Esteri, Israël Katz, ha chiesto alla Nato di escludere la Turchia, denunciando la retorica pericolosa di Erdogan. La Nato, pur priva di meccanismi per espellere membri, affronta da tempo crescenti tensioni interne a causa del comportamento di Ankara. Questo episodio riaccende il dibattito sulla posizione della Turchia nell’alleanza, già criticata per l’acquisto di sistemi S-400 dalla Russia e le operazioni contro i curdi siriani. Tuttavia, l’assenza di un meccanismo di espulsione e la necessità dell’unanimità complicano qualsiasi azione diretta contro il Paese di Erdogan. Per comprendere meglio le dinamiche della tensione caratterizzata da sottili interessi, Airpress ha intervistato Stefano Silvestri, consigliere scientifico dell’Istituto affari internazionali e direttore editoriale di AffarInternazionali.

Quale potrebbe essere l’impatto geopolitico dell’eventuale utilizzo di mercenari da parte della Turchia contro Israele, come suggerito dal presidente Erdogan?

È paradossale che la Turchia, che per moltissimi anni ha avuto ottimi rapporti con Israele, oggi si presenti come un suo avversario. Erdogan ha grandi ambizioni politiche sul Medio Oriente, ma deve fare i conti con il fatto che il suo paese, benché religiosamente musulmano, non è arabo, ed è anzi percepito nella regione come l’antico dominatore imperiale contro il quale gli arabi hanno combattuto per guadagnare la loro indipendenza. Per cui il Presidente turco, assecondando i sentimenti filo palestinesi dei suoi elettori, cerca in questo modo di guadagnare popolarità. Ma potrebbe esserci anche un’altra ragione.

Quale?

La Turchia è presente militarmente in Siria (ed è fortemente impegnata anche in Iraq, specie nelle regioni curde) e mantiene una linea diversa e a volte contrapposta rispetto all’Iran. Se il conflitto tra Israele ed Hezbollah (che sono in pratica la longa manus di Teheran) dovesse avere una escalation polarizzando i conflitti regionali in un’unica grande guerra tra Israele e l’Iran (come sembra prevedere Netanyahu), la Turchia perderebbe molte posizioni, e rischierebbe anche una saldatura tra Mosca e Teheran nella regione, con chiare dimensioni anti turche e anti occidentali. Per cui Erdogan tenta di battere un colpo, affermando che la situazione è più complessa e bisogna tenere nel conto altri protagonisti. Detto questo, non credo che l’invio di mercenari o volontari turchi nell’area sarebbe una buona idea. Erdogan farebbe meglio a tentare un approccio più diplomatico.

Alla luce delle richieste di Israele di escludere la Turchia dalla Nato, quali potrebbero essere le conseguenze per le relazioni internazionali all’interno dell’Alleanza Atlantica e la stabilità del Mediterraneo?

Tutto questo interessa la Nato, ma la riguarda solo indirettamente. La Nato è una alleanza difensiva, per cui se Israele o la Russia dovessero reagire ad un attacco inizialmente condotto dalla Turchia, il Patto di Washington non potrebbe essere invocato a difesa della Turchia. D’altro canto la Nato è anche preoccupata per le scelte militari iraniane e russe nella regione, per cui non ha alcun interesse, né ragione, per ergersi contro la Turchia, almeno in questa fase, quali che siano le posizioni israeliane. Ricordiamoci che la Nato ha anche un dialogo in corso da anni con svariati Paesi arabi con il comune obiettivo di accrescere la sicurezza e la stabilità regionale. L’Alleanza è amica di Israele, ma non è un suo garante. Non vogliamo la distruzione di Israele, ma neanche, se possibile, una grande guerra regionale dagli sviluppi imprevedibili. Il nostro interesse primario è la lotta al terrorismo e la garanzia della libertà di navigazione e della sicurezza dei cieli. In questo quadro la Turchia è un nostro importante alleato.

Come valuta la possibilità reale di un’espulsione della Turchia dalla Nato, considerando le attuali dinamiche politiche e strategiche tra membri dell’Alleanza?

Molte potenze hanno politiche medio orientali, a partire dagli Stati Uniti, dalla Cina e dalla Russia. Anche gli europei sono presenti, politicamente, economicamente e militarmente. Tutti dobbiamo fare i conti con il crescere delle ambizioni delle maggiori potenze dell’area, dall’Arabia Saudita all’Iran, ad Israele e alla Turchia. Le molte guerre in corso nella regione e nel Nord Africa che ad essa è strettamente connesso, così come i vari gruppi armati autonomi, terroristi e mercenari, sono le pedine di un confusissimo e pericoloso gioco di potere. Sarebbe bene non aggiungere altra confusione. Ma inevitabilmente, se la situazione dovesse sfuggire di mano e la guerra divenire generale, i grandi interessi strategici che dominerebbero il conflitto non sarebbero quelli locali. E forse questo dovrebbe far riflettere i governi della regione.

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