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L’Italia dei talenti non ha bisogno di polemiche. L’opinione di Caporale

Di Roberto Caporale

Una grande vittoria sportiva, ottenuta dalle ragazze del volley, soccombe alla duplice trazione dello scontro ideologico italiano, da tempo sottoculturale, e in cui hanno tutti torto. L’opinione di Roberto Caporale

Il sonno della ragione genererà pure mostri, o forse il sonno dei (nuovi) mostri favorisce i ragionamenti. Di sicuro, la mancanza di pennichella genera sciocchezze in quel che resta della classe dirigente italiana, specie di domenica verso le 15,00.

Così, una grande vittoria sportiva (ottenuta dalle ragazze del volley proprio a quell’ora fatale, circa) soccombe alla duplice trazione dello scontro ideologico italiano, da tempo sottoculturale, e in cui hanno tutti torto.

Già, perché da un lato la squadra femminile italiana di volley è uno splendido esempio di assimilazione e non di integrazione multiculturale, come vorrebbe la sinistra e come non capisce la destra. Che sia di origine tedesca, africana, russa o argentina, chi ne fa parte ha rappresentato in modo lusinghiero l’Italia, i suoi valori e la sua storia occidentale di democrazia, libertà, merito e opportunità: non si arriva ad una finale olimpica (e si vince alla grande) in quanto appartenenti a una minoranza da tutelare, bensì perché si è saputo scegliere, accettare, interpretare e utilizzare il sistema valoriale, le norme morali e sociali della comunità nazionale di cui si è parte. Le Azzurre del volley, che lo si voglia o no, sono proprio un pezzo del “sistema”, e quello che funziona.

D’altro canto, con buona pace dei poveri disgraziati che sui social scrivono “faccetta nera”, non si manca di rappresentare degnamente la nazione, qualunque sia la propria origine, quando se ne esaltano i valori di tenacia, coraggio, determinazione e leggerezza. Anzi: quell’inno cantato a squarciagola da ragazze bellissime, composte e commosse, è la dimostrazione plastica di come l’immigrazione può essere un vettore identitario e non di anomia, come vorrebbe la destra e come non capisce la sinistra. E ci ha fatto sentire un po’ americani.

Se proprio voleva usarla per scopi di propaganda, una classe governativa con un minimo non dico di cultura, ma di scaltrezza, avrebbe potuto fare di questa medaglia d’oro un tema di orgoglio nazionale proprio per la composizione della squadra e non nonostante essa, a dimostrazione che anche in un tema strategico come quello migratorio si possono coniugare valori e interessi (un po’ alla francese, se solo lì avesse funzionato…). Registriamo invece una specie di Alberto Sordi che si suicida mediaticamente prendendosela con una specie di Grace Jones. Pensa la scena.

Per una volta senza piagnistei, senza arbitri cornuti, senza retorica, senza “stellone”, l’Italia ha vinto grazie alla sua capacità di attrarre talenti, di integrarli nel proprio tessuto sociale, di assimilarli al proprio sistema valoriale e di utilizzarli in base alle loro capacità e non per categorie o appartenenze. Per una volta, l’Italia ha dimostrato in modo formidabile di saper fare ciò che le grandi democrazie occidentali, per storia o per passato coloniale hanno sempre saputo fare, quantomeno nello sport.

Esportare cervelli e importare (male) mano d’opera non qualificata è stata la cifra della demenziale politica migratoria italiana, le creature straordinarie che hanno vinto a Parigi non sono dei gastarbeiter, ma una semplice lezione di geopolitica.



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