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Digital decade in Italia. Progressi e sfide nella corsa verso il 2030

Mentre l’Europa avanza nella digitalizzazione verso il 2030, in Italia esistono ambiti che frenano la transizione digitale, a cominciare dall’adozione dell’IA. I dati, nel loro insieme, riflettono un trend positivo, ma migliorabile, in linea con gli obiettivi del Pnrr e del Digital decade. L’analisi di Michelangelo Suigo

La seconda relazione della Commissione europea sullo stato del decennio digitale fotografa un’Europa concretamente impegnata nel conseguimento degli obiettivi fissati per il 2030 dal programma strategico per il decennio digitale. Ben 23 gli atti legislativi sulla digitalizzazione proposti e negoziati nell’ultima legislatura europea e ed oltre 205 miliardi di euro stanziati dall’Ue a sostegno della digitalizzazione.

Sforzi certamente meritevoli, ma probabilmente non ancora sufficienti. Come evidenzia la relazione stessa, le azioni collettive degli Stati membri non raggiungono, infatti, gli obiettivi fissati per il 2024. Al ritmo attuale, il tempo necessario per conseguire tali obiettivi supererà il termine concordato del 2030. Allo stesso tempo, però, il report indica la strada da seguire: maggiori investimenti in competenze digitali, sviluppo della connettività di alta qualità e adozione di intelligenza artificiale. Azioni che contribuirebbero a rendere l’Europa uno dei leader delle tecnologie digitali, una posizione che potrebbe sbloccare oltre 3,4 trilioni di euro di valore economico, corrispondente al 21% dell’economia attuale dell’Ue.

A che punto è l’Italia

Se guardiamo al nostro Paese, significativi progressi sono stati compiuti nell’ambito dell’e-government, in particolare nell’e-health, e nei principali servizi pubblici digitali per le imprese, settori in cui i Kpi indicano che siamo al di sopra della media europea. Vale la pena ricordare che il 60,7% delle Pmi italiane ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale nel 2023, superando di 3 punti percentuali la media europea. Anche la diffusione del cloud è significativa: il valore italiano del 55,1% supera ampiamente la media comunitaria (38,9%).

Tuttavia, la relazione mostra come in Italia esistano ambiti che frenano ancora la transizione digitale, a cominciare dall’adozione dell’IA e dalle competenze digitali di base. Solo il 5% delle imprese italiane utilizza sistemi di IA, contro una media europea dell’8%. Dato che lascia presagire, a meno di significative accelerazioni nei prossimi 5 anni, che l’Italia non riuscirà a raggiungere l’obiettivo europeo sull’IA fissato al 75% di penetrazione.

Un altro aspetto cruciale è quello delle competenze. Negli ultimi anni l’Italia ha registrato performance molto negative in questo ambito, posizionandosi costantemente tra gli ultimi Stati membri dell’Ue per la percentuale di individui con competenze digitali di base. Un trend confermato purtroppo anche da dati più recenti, che vedono l’Italia al quintultimo posto con il 45,8%, oltre il 10% in meno rispetto alla media comunitaria del 55,6%. Situazione che peggiora ulteriormente se si considerano le competenze specialistiche. L’Italia è all’ultimo posto nell’UE per la percentuale di laureati in Ict sul totale, con solo l’1,5%, ben al di sotto della media europea del 4,5%.

Merita, poi, un approfondimento la situazione sulla connettività mobile. I dati italiani mostrano una copertura 5G che raggiunge il 99,5% della popolazione. Sebbene l’obiettivo sembri consolidato, un’analisi più approfondita rivela che questo livello è stato raggiunto grazie alla buona copertura 4G e all’uso della tecnologia Dss (Dynamic spectrum sharing). Si tratta di una tecnologia che permette di utilizzare la stessa banda sia per Lte 4G che per il 5G, gestendo in modo dinamico e intelligente l’allocazione della banda attraverso una singola antenna. Di conseguenza, il servizio di cui beneficia la maggior parte degli utenti italiani, pur di alta qualità, è ancora lontano dalle prestazioni che il 5G “standalone” può offrire.

L’ultima rilevazione di Infratel del 2021 evidenziava che solo il 7,3% del territorio nazionale era coperto con 5G standalone, mentre il 5G Observatory report della Commissione Ue di giugno 2024 mostra come, a marzo 2024, le stazioni radio base 5G in Italia siano circa 64 mila e di queste, quelle in standalone sono il 66%, mentre ben il 34% sono in Dss. È in corso una nuova consultazione pubblica indetta proprio da Infratel che ci consegnerà una mappa più aggiornata e attendibile della situazione sulla copertura 5G, specie quella standalone, e sarà interessante capire quali progressi si siano realmente fatti da quel dato non entusiasmante del 7,3% del territorio coperto.

Sono dati che, nel loro insieme, riflettono un trend positivo ma migliorabile, in linea con gli obiettivi del Pnrr e del digital decade. Sono opportune tre raccomandazioni. Per poter sviluppare una rete 5G capillare, anche standalone, è necessario che le semplificazioni normative adottate a livello nazionale siano recepite automaticamente dagli enti locali, che troppo spesso applicano regolamenti vetusti e in contraddizione con il Codice delle comunicazioni elettroniche e, di fatto, ne ostacolano la realizzazione. L’IA deve essere utilizzata come volano per aumentare il valore economico, integrando la tecnologia nelle nostre vite in modo etico e responsabile e assicurando che l’avanzamento tecnologico porti ad ambienti di lavoro efficienti, equi ed umani. Infine, è cruciale investire nella formazione nelle materie Stem per favorire l’innovazione tecnologica, sviluppare le competenze critiche necessarie ad affrontare le sfide globali, come il cambiamento climatico e la salute pubblica, e promuovere l’inclusione e l’equità di genere.

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