La città potrebbe diventare un hub fondamentale per i collegamenti tra Europa, Mediterraneo e Indo-Pacifico. Dopo l’attenzione di Washington, la Strategic Culture Foundation, think tank legato all’intelligence di Mosca, attacca. E un media italiano anti Occidente rilancia l’articolo
Trieste è il porto più settentrionale del Mediterraneo. Può essere il terminal europeo del corridoio India-Medioriente-Europa (Imec) lanciato poco meno di un anno fa a margine del G20 di Nuova Delhi, in India. Questo, in quanto rappresenta lo snodo più conveniente tra i mercati di Europa centrale, Indo-Mediterraneo e Indo-Pacifico, come ha evidenziato nei giorni scorsi l’ambasciatore Francesco Talò, consigliere del ministro della Difesa. Senza dimenticare l’iniziativa Three Seas, che coinvolge dodici nazioni dell’Europa centrale e orientale, di cui il capoluogo della regione Friuli Venezia Giulia – che Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, definì “capitale marittima italiana” – potrebbe diventare un hub logistico centrale tra Adriatico, Baltico e Mar Nero.
Lo ha evidenziato recentemente anche un’analisi firmata da Kaush Arha, presidente del Free & Open Indo-Pacific Forum visiting fellow dell’Atlantic Council, e Carlos Roa, fellow del Danube Institute e dell’Institute for Peace and Diplomacy, pubblicata in questi giorni dal National Interest, pensatoio del realismo politico statunitense sin dal 1985. La città diventa un nodo determinante che potrebbe fungere da anello di congiunzione tra Mediterraneo allargato e Indo-Pacifico, come spiegava un’altra analisi già pubblicata sul National Interest pochi mesi fa.
Sottolineando che società cinesi collegate allo Stato cinese (e dunque alla strategia di espansione europea del Partito comunista cinese) hanno da tempo messo gli occhi sulla Piattaforma logistica di Trieste, Arha e Roa hanno evidenziato sia le preoccupazioni in Europa e negli Stati Uniti per le implicazioni strategiche sia le opportunità nel rafforzamento dei legami tra gli Stati Uniti e Trieste. Ciò, infatti, non solo permetterebbe di mantenere aperte e sicure le vie commerciali tra l’Europa e l’Indo Pacifico, sostengono gli autori suggerendo un impegno americano più deciso nell’area, ma offrirebbe anche un mezzo per limitare l’espansione considerata da Xi Jinping come una priorità geopolitica fin dall’inizio della sua leadership. In sintesi, se gli Stati Uniti devono mantenere interesse nel contrastare la Belt and Road Initiative, allora lavorare nei porti strategici come Trieste è determinante per evitare che le caratteristiche geostrategiche di certe unicità finiscano in mano a Pechino, come riassunto su queste pagine.
Pronta la “risposta” anti-occidentale. La Strategic Culture Foundation, think tank moscovita sanzionato dagli Stati Uniti che lo ritengono diretto dall’intelligence russa (precisamente dal servizio Svr), ha pubblicato un’analisi dal titolo “What the hell is happening in Trieste?” (Che diavolo sta capitando a Trieste) firmato da Lorenzo Maria Pacini, trentenne professore associato all’UniDolomiti e grande fan di Aleksandr Dugin, l’ideologo ultraconversatore russo. Per lui Trieste è “il prossimo teatro di guerra”. L’articolo è stato poi ripreso da una piccola testata italiana, FarodiRoma, già nota per gli articoli di propaganda pro Russia, pro Cina, anti Israele, pro Nicolás Maduro, in pratica anti Stati Uniti e anti Occidente. A conferma di come le propagande pro Cina e Russia trovino sempre più spesso terreni comuni, anche in Italia.