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Caccia russi esportati da New Delhi? Ecco cosa sta succedendo

Dopo aver comprato più Su-30 dell’Aviazione russa, l’India avrebbe avviato il dialogo con Mosca per produrre una versione del caccia per l’export. Oltre ai vantaggi commerciali per entrambi i Paesi, sarebbe un’importante vittoria per Mosca, e una partita complicata per l’Occidente

Secondo media indiani, la compagnia statale Hindustan aeronautics avrebbe cominciato a intrattenere trattative con la Russia per la produzione congiunta del caccia Su-30, dedito all’export. Lo sviluppo, ancorché ora solo ipotetico, avrebbe importanti implicazioni commerciali per entrambi i Paesi e, ancor più, conseguenze diplomatiche di primaria importanza. 

Il Su-30 è un caccia da superiorità aerea di generazione 4+ (più avanzato dell’F-16, leggermente meno dell’Eurofighter Typhoon), entrato in servizio in Unione sovietica nel 1984 (come Su-27) come uno dei velivoli più avanzati al mondo. Dato il collasso dell’Urss, fu solo grazie agli ordini cinesi ed indiani che l’aereo entrò in produzione seriale, seppur in varianti specificatamente pensate per i due giganti asiatici. L’India, schiera più Su-30 di Mosca, ed i suoi 284 Su-30Mki (modernised commercial Indian), i compongono il grosso della Forza aerea di Nuova Delhi. L’aereo è fondamentale per due ragioni: l’India non è ancora in grado di fare a meno di importare le componenti più avanzate e, contemporaneamente, un gran numero di aziende indiane sono diventate dipendenti dagli ordini di taluni componenti del Su-30Mki (l’aereo, infatti, viene già assemblato in India, con circa la metà delle componenti prodotte nel sub-continente). 

Pertanto, un accordo di produzione avrebbe i suoi vantaggi commerciali sia per Nuova Delhi che per Mosca. L’India allungherebbe la sopravvivenza delle linee di produzione del Su-30Mki, dando lavoro a operai e tenendo a galla aziende potenzialmente importanti per lo sforzo bellico,  e, inoltre, avrebbe l’opportunità di aumentare il livello tecnologico della propria produzione e di migliorare il prestigio del proprio settore aeronautico (l’autoctono Tejas non è mai stato esportato). La Russia, invece, sarebbe in grado di aggirare le sanzioni occidentali (soprattutto statunitensi, ossia il Caatsa: Countering American adversaries through sanctions act). Questo è ciò che indica il caso BrahMos aerospace, ossia la compagnia indo-russa fondata nel 1995 per produrre il missile da crociera P-800 per le Forze armate indiane: la compagnia non è stata bersagliata dalle sanzioni di Washington, e i suoi clienti sono stati diversi (nuovi) rispetto a quelli che avrebbero comprato in Russia. 

Nonostante la versione indiana del velivolo del velivolo sarebbe meno performante e più costosa di quella russa, il Su-30 indiano potrebbe avere un ampio range di clienti – gli Usa avevano già costretto Egitto e Indonesia a non acquisire nuovi caccia russi, e The Diplomat individua in Iraq, Perù, Malesia e Filippine altri possibili acquirenti – l’interrogativo diviene la reazione occidentale. Gli esempi più simili sembrerebbero puntare verso l’acquiescenza, in virtù dell’enorme peso geopolitico di Nuova Delhi, ma potrebbero non fornire l’immagine più adeguata. Il già citato BrahMos non è stato sanzionato, ma si tratta di un progetto che nasce in ben altro tempo, e un dietrofront sarebbe stato difficile da gestire per Washington. L’altro esempio si riferisce  all’acquisto indiano del S-400, per il quale gli Usa minacciarono sanzioni, senza riuscire a dissuadere Nuova Delhi e dovendo poi concedere un’eccezione al Caats – dettaglio affatto secondario, eravamo nel 2018. 

Insomma, se questa tratta andasse in porto ci troveremmo davanti a un interrogativo assai rilevante. Se dovessimo osteggiare direttamente la mossa (i.e., sanzionando anche solo la Hindustan aeronautics) costringeremmo l’India ad una reazione diretta, che senz’altro non la avvicinerebbe al nostro campo. Similmente, se dovessimo minacciare ritorsioni a possibili acquirenti del velivolo, Nuova Delhi sarebbe tutto tranne che contenta, anche se non costretta a gesti altrettanto eclatanti. D’altra parte, rimanessimo a lavorare solo dietro le quinte (perché quello è realmente il minimo sindacale) l’autorevolezza dell’Occidente come pinnacolo dell’ordine mondiale subirebbe un altro smacco, e Mosca riporterebbe una grande vittoria, la quale potrebbe aiutarla a rilanciare la credibilità del proprio settore bellico sul mercato internazionale (per Sipri, rispetto al quinquennio 2014-18, il periodo 2019-23 ha visto l’export militare russo scendere per il 53%, e Mosca è stata superata da Parigi al secondo posto della classifica globale). 

Doverosa puntualizzazione: per quanto sia importante tenere d’occhio da vicino il dossier, non si tratta di una partita in grado di spostare, da sola, equilibri di primo piano. Dal punto di vista militare, stiamo parlando di un caccia, per quanto valido, di generazione 4+, mentre nel 2035 arriveranno i primi sistemi di sistemi di sesta generazione. Dal punto di vista geopolitico, l’India continuerà a giocare la sua partita, rimanendo in disparte nel confronto Occidente vs. Cina-Russia per ottimizzare i partenariati con entrambi i campi, al fine di proseguire nel suo sviluppo interno. 

Novità produttive anche per il Su-57

Nel frattempo, Mosca si muove anche per aumentare la produzione di un altro caccia Sukhoi, il Su-57, ma internamente. Mosca, infatti, dispone solo di una manciata di questi aerei di quinta generazione e non li sta rischiando in Ucraina: i Su-57 si limitano a lanciare missili dalle profondità delle linee russe (nonostante questo, gli ucraini dovrebbero averne danneggiati due in un raid in una base nel sud della Russia). Il contratto siglato a metà 2019 prevedeva la consegna di 76 esemplari entro il 2027, ma, per via delle sanzioni occidentali, il programma è molto in ritardo. Inoltre, il sito produttivo era troppo piccolo, ma, secondo le ultime notizie, sono state appena aperte nuove installazioni. 

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